“Mai più”, gridano dal piazzale davanti alla stazione gli 85 bambini di Marzabotto che aprono la cerimonia di commemorazione della strage del 2 agosto ‘80, leggendo una poesia di Roberto Roversi. Sfilano in corteo i fiori bianchi appuntati sulle giacche e le tshirt dei parenti delle vittime della strage: Piazza Maggiore, via Indipendenza, piazza XX Settembre, viale Pietramellara, piazza Medaglie d’Oro. Bologna per qualche ora si ricompone fiera in un lungo e silenzioso corteo, fatto di bimbi ed anziani, donne e uomini, autorità e gonfaloni di ogni parte d’Italia.

Potrebbe sembrare retorica a buon mercato, ma la strage alla stazione è uno squarcio nella mente e nella pelle dei bolognesi, una ferita che ogni giorno sanguina senza mai smettere da trentun anni. Lo dice Paolo Bolognesi dal palco, mentre davanti a sé si riuniscono almeno ottomila persone sotto un sole agostano che promette solo umida calura: “Non possiamo dimenticare lo scempio della vita dei nostri cari. Non possiamo dimenticare questo piazzale della stazione trasformato in uno scenario di guerra”.

85 morti e 200 feriti, un attentato che ha sempre spaventato per dimensione e ferocia. E che ha sempre suscitato fin dal 1981, indignazione e sorpresa tra parenti delle vittime e tra gli italiani tutti. Perché la strage di Bologna è una sorta di crocevia politico nel quale si è arenato lo sviluppo e il compimento del sistema democratico italiano e si è condensata la cancrena di una frattura storica che lacera ancora oggi l’Italia intera.

L’Italia dei depistaggi e dei servizi segreti, delle infinite e criminali logge massoniche infiltrate nelle istituzioni dello stato a coprire la verità. “Per impedire agli inquirenti di arrivare alla verità, si cominciò a depistare fin dal minuto successivo allo scoppio della bomba”, racconta accorato Bolognesi, “si depistava affannosamente per difendere gli imputati in modo da complicare le indagini, far dimenticare e rendere più facile l’impunità dei mandanti. Ancora oggi si depista e il modo per depistare è molto spesso il non raccontare, il silenzio”.


?rel=0&showinfo=0" frameborder="0" allowfullscreen>