Favoreggiamento. E’ questa l’accusa mossa dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia napoletana nei confronti di Vittorio Pisani, il capo della squadra mobile del capoluogo campano. Per gli inquirenti il funzionario avrebbe passato “informazioni riservate” a Marco Iorio, noto imprenditore nel campo della ristorazione e proprietario del Regina Margherita Group, la catena di pizzerie di cui sarebbe socio anche il calciatore Fabio Cannavaro.

Pisani, si legge nelle oltre 500 pagine dell’ordinanza, avrebbe consigliato al ristoratore napoletano, suo amico di vecchia data, di “mettere a posto le carte” perché la Procura di Napoli aveva iniziato a indagare sulle sue attività. I magistrati, in particolare, si stavano interessando ai legami esistenti tra i fratelli Iorio (Marco, Carmine e Massimiliano) e la famiglia Potenza, il cui patriarca, Mario, è uno dei più “attivi” usurai di Napoli.

Fondamentali per l’attività investigative sono state le dichiarazioni di Salvatore Lo Russo, ex capo dell’omonimo clan di Miano passato alcuni mesi fa a collaborare con lo Stato. “Totore capitone”, questo il suo nome all’anagrafe della camorra, ha raccontato ai magistrati antimafia di come i Potenza avessero investito il denaro ricavato dall’usura nelle attività di ristorazione dei fratelli Iorio, diventandone, quindi, soci “di fatto”. Una società alla quale, dal 2006, avrebbe partecipato lo stesso Lo Russo, affidando a Marco Iorio e Bruno Potenza, il “guadagno” di una partita di cocaina di oltre 700kg.

A gestire l’immensa attività di riciclaggio, un’organizzazione che poteva contare anche sull’aiuto di “insospettabili” come Maddalena Plancqueel, la commercialista di fiducia della famiglia Potenza, o Antonella Di Pesa, impiegata presso l’istituto di credito Cariparma di Santa Lucia.

A capo di tutto però c’era sempre lui, Mario Potenza, 79 anni e un passato da contrabbandiere di sigarette che lo ha portato in contatto con alcuni dei principali sodalizi camorristici come i Mazzarella, i Misso e i Giuliano. Soprannominato “‘o chiacchierone”, Potenza, secondo Lo Russo, quando finì la stagione dei “motoscafi blu”, si lanciò nel campo dell’usura, prestando ingenti somme di denaro non solo agli imprenditori in difficoltà ma anche a esponenti della criminalità a corto di “liquidi” per i loro traffici. Lo stesso Lo Russo si sarebbe rivolto a lui per un prestito di alcune centinaia di migliaia di euro che sarebbero serviti a pagare alcune “puntate” sul calcioscommesse. Applicando un tasso d’interesse che varia dal 3 al 5% a settimana, Potenza, e, poi, i suoi figli, sono entrati in possesso di una vera e propria fortuna.

Lo scorso 2 maggio, infatti, durante una perquisizione nelle abitazioni di Mario e Bruno Potenza, gli uomini della Direzione investigativa antimafia trovarono, nascosti nelle pareti, circa 8 milioni di euro in contanti oltre ad alcuni “quaderni” su cui erano annotati i nomi delle loro vittime e le somme di cui erano debitrici. Il vero colpo però è arrivato solo il 30 giugno quando, dopo attività d’indagine, la procura antimafia ha messo i sigilli a 17 tra pub e ristoranti riconducibili al sodalizio Potenza-Iorio.

Gli inquirenti, grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e alle intercettazioni, sono riusciti a ricostruire anche il tentativo dei due gruppi di “regolare” le loro posizioni all’indomani della notizia del pentimento di Salvatore Lo Russo. Sia gli Iorio che i Potenza, infatti, erano preoccupati che le dichiarazioni di Lo Russo potessero portare alla luce l’attività di riciclaggio e per questo avevano deciso di sciogliere “formalmente” la loro società.

È in questo momento che secondo la magistratura sarebbe entrato in scena Vittorio Pisani. Il capo della mobile, infatti, avrebbe riferito a Marco Iorio “l’esistenza e l’oggetto di due denunzie anonime trasmesse alla Procura di Napoli nonché il contenuto dei consequenziali accertamenti di polizia giudiziaria svolti dalla Questura di Napoli”. Notizie che, secondo i magistrati, avrebbero permesso a Marco Iorio di sottrarre alcuni beni al sequestro da parte dell’autorità giudiziaria anche “mediante l’esportazione all’estero di ingenti capitali”.

di Luigi Sabino
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