Quanti momenti politici vi hanno fatto scattare “appartenenza“? Pochi. Ve ne propongo tre, tutti opinabili.
Il primo è stato il fenomeno dei girotondi. 2002, 2003. L’ondata berlusconiana di ritorno, Nanni Moretti, Sergio Cofferati – non ancora autoesiliatosi a Bologna come versione sfigata di Tex Willer. Durò poco.
Il secondo è stato il V-Day. Nessuno ne parlava. Pareva dover essere un flop. Poi, a Bologna, c’era il mondo. E non solo a Bologna. Un bel brivido. E quando venne da pensare che in fondo non era successo niente, leggemmo le banalità barbose di Eugenio Scalfari su Repubblica (yeowwwwwwnn). E capimmo che la strada era quella giusta.
Il terzo è stato ieri. L’aria è bella, quasi pura. Tutto è andato oltre ogni previsione. C’mon.

Ognuno ha le sue classifiche. A me piace la storia di Zedda, di cui troppo poco si parla. La Cagliari così ben descritta, radiografata e messa a nudo da Massimo Carlotto, che cambia pagina. Appoggiando, va da sé, un candidato che il Pd non avrebbe mai scelto.
Mi piace la storia di Milano. La roccaforte tolta al Sire: il castello più prezioso dei 32 che ha Berlusconi, quello che più lo fa piangere. Mi piace perché è un bel segnale. Anche se Vecchioni che si pavoneggia è più sgradevole di Dario Cassini a Stalk Radio. Anche se il comizio di Nichi Vendola era palesemente rancoroso (ci sta) e persino più retorico del solito (“i fratelli musulmani“: mancavano solo gli Inti Illimani col pugno chiuso, i Modena City Ramblers che cantano Bella Ciao in salsa irish e una bella mazurka dei Nomadi). Mi piace, perché a volte si può anche essere retorici. Specialmente quando sono 17 anni che quel colpo lo si tiene in canna.

Sono giorni che fanno bene. Viene quasi da credere che gli italiani, persino gli italiani, siano usciti dalla Sindrome della Locura di borisiana memoria.
Il memorabile filmato di Franz Baraggino del non-concerto di D’Alessio a Milano racconta in soli quattro minuti tutta la mestizia patetica e avvilente di un’epoca, quella berlusconiana, che non si sa se definire più schifosa e paradossale. Letizia Moratti che sbaglia tutto. Matteo Salvini (un luminare, in confronto ai sodali) che va a vedere il concerto di Elio per Pisapia. Radio Padania che mette l’Internazionale.
E ancora. La parabola di Red Ronnie, l’ex cantore e amico dei Ligabue e Jovanotti, è paradigmatica: il furbino che cavalca le onde più redditizie – craxismo, veltronismo, morattismo – prima di inciampare zimbellato (lui e la figlia filosofa) da tutta la Rete. Nulla di inedito: era e resta uno dei più grandi bluff degli ultimi vent’anni. Il Gianni Pettenati del “giornalismo” musicale (più stonato, però).
La Waterloo degli Stracquadanio e delle Santanché dona gioia imperitura.

Ammetto però che la piazza che più ho osservato, tra una Novara e una Crotone, è stata Napoli.
Il trionfo plebiscitario di Luigi De Magistris è uno degli eventi più belli, stupefacenti e meravigliosi dell’intera storia italiana repubblicana (mentre lo scrivo, già sento il fastidio dei cari – cari, cari – polli di allevamento che sbuffano stizziti e si consolano con un’intervista di Aldo Cazzullo a Latorre sull’importanza di un’alleanza con Casini e Rutelli).
E’ la vittoria di chi non ne può più di questa politica vile, affaristica e correa. E’ un gigantesco sfanculamento da parte di una maggioranza – toh – che non si limita a indignarsi, e già basterebbe, ma ha al contempo la sfacciataggine di credere in una nuova stagione. Affidandosi a un cane sciolto pressoché ignudo di politica politicante.
E’ uno dei più grandi contropiede che gli italiani abbiano mai compiuto. Un highlight da ricordare, vada come vada.
Luigi De Magistris è meravigliosamente antipatico e supponente. In privato è meno spigoloso, ma il privato adesso non c’entra. L’ex magistrato non ride mai: sfacciato, arrogante, stronzino. E’ un duro, baby. Lo guardi e lo immagini con la sigaretta in bocca, dopo aver fatto l’amore con una strafiga depressa (il suo target è la “cerebral-depressa”, genere “stiamo facendo sesso ma sappi che mi piaci anche di testa, capisci, ho letto Erica Jong”. Umpf). Lei, abbandonando per un attimo gli ormeggi, azzarda: “Ci vediamo domani, Luigi?”. E lui, spietato come un tackle di Julio Jorge Olarticoechea: “Non faccio mai programmi a lungo termine“. Tipo Humphrey Bogart in Casablanca.

De Magistris è sempre incazzato. Quando gli hanno detto che aveva vinto, mica era felice. No. Era infastidito. Intimamente infastidito. Aveva lo sguardo di uno che, per rilassarsi, desiderava azzannare una tigre. De Magistris è uno che, per rilassarsi, spacca i mobili con una mazza da baseball canticchiando i Manowar. Si vede, dai.
Il nuovo sindaco di Napoli – più del 65 percento di preferenze: what??? – è un giustiziere, un vendicatore, un Ispettore Callaghan. Il Gunny della politica. Gunny, lo spiego a chi va al cinema solo per poter partecipare a un dibattito pensoso su Habemus Papam, è il film più sboccato di Clint Eastwood. Uno dei motivi stantii per cui i tonni della sinistra continuano a dire che Clint è bravino, sì, però è anche di destra. Che non vuol dire niente, ovviamente, ma se anche lo fosse verrebbe da dire – e si può dire – che è molto più democratica, coraggiosa, geniale e tollerante la “destra” di Million Dollar Baby e Mystic River che non le messe fracassauallera e politicamente corrette dei Taviani fuori tempo massimo.

Dicevo.
Gunny si esprime tipo Borghezio mixato col sergente di Full Metal Jacket. Esordisce così: “Meglio che prendi nota, sono cattivo, incazzato e stanco, mangio filo spinato e piscio Napalm e riesco a infilare una palla da biliardo in c**o ad una pulce da 200 metri. Quindi va a rompere il ca**o da un’altra parte e levati dalle scatole“. Aggiungendo poi che “Io vado a pu**ane da quando Cristo era ancora a capotavola”. Idolo assoluto, ne converrete (a meno che non siate abbonati a Europa).
Ovviamente De Magistris non parla così. Non è né caricaturale come (volutamente) Gunny, né sboccato. Eppure il suo successo fa leva sull’essersi presentato come hombre vertical, spietato e inflessibile, restio alla mediazione e al compromesso. Lo straniero senza nome di matrice eastwoodiana.
Come Gunny, potrebbe esordire in consiglio comunale sentenziando: “Qui è la mia volontà contro la vostra e voi avete già perso“. Sarebbe in grado di rispondere a un piddino querulo: “Con tutto il debito rispetto, lei sta cominciando a rompermi le palle“. Oppure, a un pidiellino che incalza sgarzolino – “Te la faccio pagare a prezzo pieno! Io di sconti non ne faccio” -, replicherebbe acido: “Peccato, perché tua moglie li fa“.
Lo so, lo so. Gunny è un film. Solo (solo?) un film. E neanche un capolavoro.

La mitraglia dei buonisti, dei situazionisti e degli ipocriti, è già lì pronta ad accusarlo una volta di più di demagogia, qualunquismo, giustizialismo, inesperienza
. I più colti – non parlo con te, Amicone – potrebbero dirgli: “Personaggi come te sono anacronismi: li dovrebbero chiudere in una bacheca con scritto ‘Rompere il vetro solo in caso di guerra’“.
Magari sarà così e De Magistris si rivelerà null’altro che un Masaniello, un Savonarola, un capopopolo posticcio. Lo vedremo.

C’è però un dato di fatto. Non è solo il vento che cambia. Non è l’aria finalmente democratica, ma intimamente borghese e un po’ radical chic, che ha portato Pisapia al trionfo. E’ la vittoria di un modo diverso di fare politica (“antipolitica” ‘sta ceppa). Il presentarsi, brutalmente, come estraneo al contesto. Il rifiutare apparentamenti furbetti col peggiore Pd d’Italia per questuare voti: lo avrebbe fatto un Rutelli qualsiasi, o un Fassino di ritorno. Non Gunny. Per questo ha vinto.

Nel momento esatto in cui proverà a somigliare agli altri, a normalizzarsi, De Magistris diventerà uno come tanti. Un incendiario divenuto pompiere. Un Clint Eastwood divenuto Giuliano Gemma.
Il neo-sindaco è odiato dal centrodestra; sta antipatico al centrosinistra, a parte del suo partito e pure all’ex amico Beppe Grillo. I politologi – che ppppppalle – asseriscono che per colpa sua il Pd si distrarrà e smetterà di fare la corte al Terzo Polo (come no). Non doveva andare al ballottaggio, non se lo filava nessuno. E invece ha vinto. Perché? Perché i napoletani ne avevano bisogno. Gli italiani ne avevano bisogno. E perché lui non è sceso a patti.

De Magistris ha inseguito l’apoteosi o il disastroNon si è mai preoccupato di fingere un sorriso. Non ha mai fatto finta di stimare un giornalista o un avversario. E’ stato se stesso. Tutto o niente. Tutto. Per ora.

Forse verrà il riflusso. Come nel 2005, il Pd lavorerà alacremente per salvare Berlusconi, tamponando l’improvvisa sicumera del metaforistico Bersani con iniezioni mefitiche di Dalema Thinking. E Gunny inciamperà in errori vari, come e più di altri pasdaran (Leoluca Orlando a Palermo).

Oggi, però, concedeteci il lusso – fino a ieri impensabile – di sperare infantilmente in un’utopia condivisa, che parta e germogli da una delle città più fiere e devastate di questo paese così bravo a farsi male e così geniale, nel bene e nel male, a stupire. Anzitutto se stesso.

P.S. In queste immagini, gli italiani salutano commossi Red Ronnie.

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