“La mia è la storia di una persona moderata per nascita”, rivendica Letizia Moratti, “mentre dall’altra parte vi è una persona che non può certo considerarsi moderata” . Prende una piega stravagante l’ultimo miglio di campagna elettorale del sindaco di Milano. Dopo aver attaccato l’avversario Giuliano Pisapia su una vecchia storia degli anni Settanta, la Moratti introduce l’innovativa concezione di moderatismo genetico.

Come se non ci fossero stati tanti casi, a volte drammatici, di terroristi rossi nati in morigerate famiglie democristiane, o di figli degli anni di piombo cresciuti come cittadini ligi allo Stato. E anche ammesso che moderati si nasca, come diceva Totò per i signori (“e io lo nacqui, modestamente”…), tutti sanno che Pisapia è figlio di Gian Domenico, uno dei più insigni giuristi italiani, che non combattè con Fidel Castro sulla Sierra Maestra ma guidò la commissione ministeriale sul nuovo codice di procedura penale varato nel 1989 e tuttora in vigore, non a Cuba ma nella Repubblica italiana. La Moratti si è attribuita persino una “formazione professionale moderata”, dal che si deduce che esistano mestieri in sé estremisti, magari proprio quello che fa Pisapia: l’avvocato.

Stravaganze a parte, Letizia Moratti è davvero una moderata? Sulla scheda elettorale, tra le liste che la sostengono c’è la Destra di Francesco Storace, che sul sito web milanese accoglie i simpatizzanti con citazioni di Julius Evola (noto moderato di corrente antisemita), croci celtiche, utili link a Casa Pound o alla Fondazione Pinochet. In campagna elettorale, la moderata Letizia si è accompagnata (e abbracciata) a Roberto Jonghi Lavarini, politico di riferimento del neofascismo e del movimento naziskin milanese, accolto a braccia aperte nel Pdl due anni fa.

Lo stesso Pdl candida a Palazzo Marino nomi di punta dell’estrema destra cittadina, come Marco Clemente (quello che conversava con Pino Amato, uomo di Forza Nuova arrestato con l’accusa di essere l’estorsore del clan Flachi), protagonista dei raduni più nostalgici e sostenuto anche dagli ultras del calcio, che quanto a moderazione non scherzano.

La grande tradizione moderata di Letizia Moratti si è sposata spesso con gli eredi di Benito Mussolini e Adolf Hitler. Nel 2006, l’allora candidata al primo mandato sfilò alla manifestazione del 25 aprile spingendo la carrozzella del padre, ex partigiano e deportato a Dachau. Fu fischiata e si innescarono polemiche roventi sull’intolleranza della sinistra.

Tre giorni dopo, però, la Moratti presentò il suo programma e annunciò di aver siglato un accordo elettorale con la Fiamma Tricolore e Azione Sociale. Cioè con gli eredi duri e puri dell’Msi e con la santa alleanza tra Alessandra Mussolini, Adriano Tilgher e Roberto Fiore. Nell’ordine: la fiera nipote del Duce che insieme ai nazisti faceva deportare i partigiani; l’ammiratore di Adolf Hitler (incorso soltanto “in alcune storture”) ; l’attuale leader di Forza nuova, condannato negli anni di piombo per banda armata e associazione sovversiva, e fuggito latitante in Inghilterra, che non concesse l’estradizione. Poi arrivò la prescrizione, come racconta lui stesso.

Nella sua moderata gioventù, Letizia Moratti non dev’essersi accorta che gli anni Settanta furono molto movimentati anche a destra, e che diversi suoi attuali compagni di partito erano vicini a gruppi violenti, quando non li dirigevano. Come Ignazio La Russa, attuale dominus del Pdl a Milano, nonché ministro della Difesa. La Russa era un giovane dirigente dell’Msi negli anni in cui i neofascisti scendevano in piazza con catene e coltelli. Fu lui, ha raccontato recentemente a Gianni Barbacetto su Il Fatto Quotidiano il suo vecchio camerata Tommaso Staiti di Cuddia, “a volere più d’ogni altro la manifestazione del 12 aprile 1973 in cui fu ammazzato l’agente Antonio Marino”, poliziotto della Celere colpito da una delle bombe a mano che alcuni giovani di destra si misero a lanciare. “La Russa s’impuntò”, continua Staiti. “Il 12 aprile dovevamo riuscirci. A tutti i costi. Man mano che la data s’avvicinava, diventava chiaro a tutti che sarebbe stato un massacro”. E chissà se il sindaco Moratti ha mai visto in azione l’uomo che di fatto dirige il suo partito in città, come appare per esempio nel film di Marco Bellocchio “Sbatti il mostro in prima pagina”.

Se non bastassero gli ex camerati, il Pdl di Letizia Moratti non si fa mancare neppure gli ex estremisti di sinistra. Un esempio per tutti, quello di Gaetano Pecorella, vicino al Movimento studentesco milanese in anni piuttosto vivaci, poi avvocato del famigerato “soccorso rosso”, e ancora nel 1990 candidato di Democrazia proletaria.

Tra neri e rossi non scampano i verdi. Forse il sindaco di Milano ignora che Mario Borghezio, colonna della Lega nord, alleato fondamentale del Pdl nella corsa elettorale milanese, l’11 luglio 1976 fu fermato dalla polizia vicino a Ventimiglia con la macchina zeppa di volantini di Ordine nuovo, organizzazione neonazista protagonista della strategia della tensione. I volantini auspicavano “uno, dieci, cento, mille Occorsio” (il magistrato Vittorio Occorsio era stato ucciso da Ordine nuovo il giorno prima a Roma), lanciavano minacce al “bastardo Luciano Violante”, con un bel “Viva Hitler” a coronare il tutto. Un episodio di cui Borghezio “non parla volentieri”, scrisse Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, in un’intervista in cui il parlamentare leghista ammetteva comunque di aver fatto parte della Jeune Europe, movimento fondato dall’Ss belga Jean Thiriart.

In quegli stessi anni bui, tra l’altro, un certo Silvio Berlusconi aveva in tasca la tessera della loggia P2, associazione segreta coinvolta in una ragnatela di trame eversive. Altro che il presunto furto di un furgone. Forse Letizia Moratti è nata moderata, come dice lei. Ma crescendo ha cominciato a frequentare cattive compagnie.

Riceviamo e pubblichiamo la seguente richiesta di rettifica:

Jonghi è esponente politico di riferimento, come tanti altri, delle varie anime delle destre radicali milanesi e non del neofascismo. Jonghi non ha nulla a che fare con “il movimento naziskin milanese” con il quale ha avuto animate discussioni politiche. I movimenti skin head quali Hammerskin o Lealtà e Azione hanno, com’è noto, altri soggetti politici di riferimento e non certo il Dr. Jonghi.

Di seguito, la replica dell’autore dell’articolo, Mario Portanova

Roberto Jonghi Lavarini è stato uno sponsor politico di Cuore nero, il primo centro sociale di destra a Milano. Tra gli animatori di Cuore nero figura, giusto per fare un esempio, Alessandro Todisco, già leader degli Hammerskin milanese, gravato da diversi procedimenti giudiziari per violenze politico-calcistiche. Oggi Todisco, noto ultrà dell’Inter, è uno dei gestori della linea di abbigliamento “Calci e Pugni”, a cui Jonghi Lavarini non fa mancare sostegno (Guarda la foto). Quanto alle “destre radicali milanesi”, fanno sfoggio di croci celtiche e riferimenti mussoliniani, di conseguenza danno la netta sensazione di essere neofascisti, se non neonaziste. La stessa sensazione che si ha quando si accede al blog di Jonghi Lavarini.

Certamente tutti questi gruppi hanno referenti diversi, ma Jonghi Lavarini ne prende spesso le parti nel dibattito cittadino. Mentre i moderati che tanto piacciono alla Moratti, di solito, se ne tengono alla larga. E con i nazisti non discutono, animatamente o meno.

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