di Tomaso Montanari*

Due mesi fa il Comitato per la valorizzazione dei beni storici, culturali e ambientali presieduto da Silvano Vinceti ha comunicato di aver scoperto (grazie a minuscole iscrizioni che solo lui riesce a vedere sul quadro) che la Gioconda non ritrae una donna, ma l’amante omosessuale di Leonardo. Dimostrando un’ammirevole elasticità, lo stesso comitato (che non è, attenzione, un organismo ministeriale, ma un’associazione privata dedita al «marketing del nostro patrimonio culturale») annuncia ora di aver iniziato le ricerche per trovare il corpo di Monna Lisa in Sant’Orsola a Firenze.

Volete sapere come finirà? Basta guardare Caravaggio. Il corpo ritrovato, un recente documentario del National Geographic Channel (visibile anche su YouTube) che racconta l’ultima impresa di Vinceti, definito «storico», ma in realtà pubblicista, nonché ex-presidente degli Ambientalisti liberali confluiti in Forza Italia nel 2008.

Con una squadra in cui spiccano Giorgio Gruppioni (ordinario di Antropologia a Bologna) e il biologo Luciano Garofano (sì, il mitico generale dei Ris di Parma), Vinceti ha cominciato a cercare Caravaggio, morto a Porto Ercole nel 1610. Purtroppo, sull’area del possibile cimitero insistono oggi numerosi edifici: ma Vinceti non si è perso d’animo, e ha scommesso sulla residuale ipotesi che qualche pezzo del Merisi fosse per l’appunto tra le ossa emerse per caso cinquant’anni fa e riposte nel nuovo cimitero. E – ci crederete? – Vinceti ha vinto la scommessa.

Prima ha isolato le ossa dei maschi quarantenni, poi quelle dei morti ai primi del Seicento, poi quelle con alte percentuali di piombo (pensando ai colori usati dai pittori, e dimenticando che i marinai che bevevano l’acqua dalle cisterne di piombo sulle navi sono una bella concorrenza, in un paese di mare). Infine, il colpo alla Csi: l’esame del Dna.

Primo piccolo intoppo: il Dna delle ossa non è integro (solo 11 marcatori su 17). Secondo piccolo intoppo: non si trovano corpi di consanguinei dell’artista. Ma nulla ferma i cacciatori d’ossa, i quali sottopongono al test tutti i maschi che, tra Bergamo e Milano, si chiamino Merisi. Alla fine, il risultato è che alcune ossa di Porto Ercole sono in parte compatibili con il Dna di persone che non hanno alcun rapporto accertato con l’artista: il che equivale a non aver detto niente.

Ma la notizia fa il giro del mondo, parte il business del turismo feticista e le immagini di coda del film mostrano Vinceti mentre sbarca trionfalmente dal veliero del pluripregiudicato Cesare Previti riportando a Porto Ercole il padre dell’arte moderna dentro un’urna di plexiglass. Come se non bastasse, il parlato del film fa strame della storia dell’arte, affermando che Caravaggio era «violento» perché reso pazzo dal piombo (e tutti gli altri mitissimi pittori contemporanei?), o farneticando che (testualmente): «Lo Stato della Chiesa non perse l’occasione per liberarsi del pittore arrogante e scomodo, e lo condannò alla pena capitale».

Non ci si stupisce neanche più della conversione della storia dell’arte in industria di intrattentimento culturale di infimo livello. Ciò che invece indigna è la legittimazione conferita a tutto ciò dalla partecipazione al film di ben quattro noti storici dell’arte: Maurizio Calvesi (già successore di Argan alla Sapienza e accademico linceo), Francesca Cappelletti, Vincenzo Pacelli e Helen Langdon.

Nessuno vuol chiudere gli studiosi in biblioteca, ma prima di prestarsi a una simile operazione bisognerebbe chiedersi quale messaggio si sta sposando, cosa si sta avallando, quale effetto avrà tutto questo sulla credibilità della disciplina e sull’educazione pubblica. Se la storia dell’arte si sta velocemente trasformando da sapere critico in circo equestre, una buona parte di responsabilità è da addebitare proprio alla complice superficialità degli storici dell’arte, i più disimpegnati e opportunisti tra gli umanisti.

O forse è ormai tutto sullo stesso piano, e allora è giunto il momento di ammettere fra i Lincei l’immortale Vulvia di Rieducational Channel. Quella sì che era cultura.

* Storico dell’arte, docente presso l’Università Federico II di Napoli

Saturno, Il Fatto Quotidiano, 8 aprile 2011

Articolo Precedente

L’Italia fuori dall’Europa

next
Articolo Successivo

I dissidenti a Cuba

next