Peggio di così non poteva andare per Sergio Marchionne: l’accordo sul futuro di Mirafiori, che impone condizioni di lavoro più dure in cambio di un miliardo di investimenti, è stato approvato soltanto con il 54 per cento. La Fiat è così tenuta a fare l’investimento ma non ha la garanzia di avere la piena “governabilità”, come la chiama Marchionne, della fabbrica. Perché la linea dura di opposizione all’accordo della Fiom, che partiva dal 13 per cento dei consensi tra gli operai sindacalizzati (meno della metà), ha pagato. E i voti contrari sono stati il 46 per cento. La partita non è finita, ma almeno il primo tempo sì. Ed è il momento delle pagelle.

Sergio Marchionne, Fiat: Sarà anche un uomo del fare che, come Berlusconi, lavora anche di notte. Ma la comunicazione non è il suo forte. Prima la denuncia dell’arretratezza dell’Italia, nel programma di Fabio Fazio, poi le smargiassate da Detroit, “verremo qui a festeggiare se vince il No”, hanno irritato anche i più intimoriti dalle sue minacce di lasciare il Paese. Le vendite di Fiat continuano a crollare, l’annuncio di nuovi modelli viene sempre rimandato, portare a Mirafiori i Suv della Chrysler mentre il prezzo della benzina si impenna non sembra un colpo di genio. Ai lavoratori ha chiesto un atto di fede, puntando loro una pistola alla tempia. Sembra uno di quei nuotatori principianti che fanno un sacco di spruzzi ma non si muovono di un metro. Voto: 4

Maurizio Landini, Fiom: La sua è una battaglia difensiva, gioca con un catenaccio all’italiana, presidiando ogni trasmissione televisiva con il suo vocione e l’accento emiliano ostentato, ma funziona. Ha aggirato la Cgil nella sua battaglia contro la Fiat e ha dimostrato che la Fiom è l’interlocutore inevitabile per l’azienda, anche se nella nuova Mirafiori sarà comunque priva di rappresentanza. Costringe il centrosinistra a scegliere, rimette le questioni del lavoro al centro dell’agenda della politica. Ricorda i capi indiani che con le frecce fermavano la cavalleria armata di fucili. Ma anche Cavallo Pazzo, dopo aver vinto a Little Big Horn contro il generale Custer, alla fine ha perso. E Landini conosce la storia. Voto: 8

Luigi Angeletti, Uil: Non pervenuto. Senza voto.

Raffaele Bonanni, Cisl: Ha concesso a Marchionne tutto quello che chiedeva, dimostrandosi più realista del re e inimicandosi perfino pezzi della Fim, cioè i metalmeccanici affiliati alla Cisl, che non condivideva tanto entusiasmo filo-padronale. Adesso, che non ha più niente da concedere e non può reclamare alcunché, deve trovarsi un nuovo ruolo che non sia di mero supporter dell’azienda e del governo. Voto: 4

Emma Marcegaglia, Confindustria: Negli ultimi giorni si è dimostrata un po’ troppo entusiasta dell’uomo che le sta smontando l’associazione, rendendo autonomi gli stabilimenti di Mirafiori e Pomigliano. Ma la presidente degli industriali sta anche provando a evitare che lo strappo di Marchionne sia definitivo, riportando la Fiat nel sistema delle relazioni industriali tradizionali. E con Susanna Camusso, leader della Cgil, sta cercando di intervenire sulla rappresentanza in azienda, per evitare che si creino situazioni come quella al Lingotto, dove Marchionne può decidere in autonomia di cancellare la Fiom dallo stabilimento. Voto: 6-

Susanna Camusso, Segretario Cgil: La diversità di vedute con Landini è evidente ma non è stata mai nascosta. Entrambi hanno le loro ragioni, la Camusso ha oscillato tra la tentazione di cavalcare la visibilità della Fiom e il timore di sembrare troppo estrema proprio quando inizia a trattare con Confindustria. La Fiom si batte per vincere la battaglia ma la Camusso, in sordina, sta cercando di vincere la guerra, con una nuova legge sulla rappresentanza e su una iniziativa finalmente concreta su giovani e precarietà. Con l’idea che se a Mirafiori Marchionne può imporre quell’accordo è anche perché fuori dalla fabbrica i diritti che lì vengono intaccati sono roba del secolo scorso e la flessibilità è estrema. Voto: 6

Pier Luigi Bersani, leader Pd: Almeno non ha dimostrato l’entusiasmo aziendalista di Massimo D’Alema e Piero Fassino, ma il segretario del Pd è stato troppo timido nel lo spiegare che il compito della politica non è fare il tifo ma affrontare i problemi, trattando con entrambe le parti. Mandare avanti il suo responsabile dell’Economia, Stefano Fassina, sarà stato produttivo per la gestione degli equilibri interni al partito, ma ha dato l’impressione di un pilatismo inaccettabile per chi vorrebbe guidare il Paese. O almeno il centrosinistra. Voto: 5

Nichi Vendola, Sinistra e Libertà: La sua performance ai cancelli di Mirafiori, esclusivamente a uso di telecamere, è da dimenticare. Il governatore pugliese, che ambirebbe a essere un grande innovatore, ha cercato di imitare forme di azione politica vecchie di trent’anni. Non si è comportato in modo molto diverso dal ministro Maurizo Sacconi: entrambi soltanto tifosi, anche se per due squadre opposte. Voto: 5

Maurizio Sacconi, ministro del Welfare: Il sedicente ministro non ha mai sentito il bisogno di chiedere a Marchionne cosa volesse fare davvero da grande, dove farà gli altri investimenti, per quali modelli, con quali prospettive. Si rifiuta di legiferare in materia di rappresentanza sindacale delegando tutto alle parti sociali, sapendo che non succederà assolutamente nulla visto che di rado nella storia repubblicana i sindacati sono stati più divisi. Anche grazie a lui, che va in solluchero a ogni difficoltà della Cgil. Resta francamente difficile capire quale sia la sua utilità, per il Paese e per il governo. Voto: 4

Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio: Della Fiat gli è sempre importato poco, tranne quando la voleva salvare lui. Negli ultimi giorni ha provato a intestarsi parte del successo di Marchionne, dato per certo al referendum. La tempistica è stata pessima e ora condivide il peso dell’antipatia di Fiat, oltre a quello dell’immobilismo del Paese, primo alibi di Marchionne per ogni forzatura. Voto: 5

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