Non importa se il Financial Times l’ha messo in zona retrocessione nella classifica dei ministri economici europei. Ai mercati finanziari Tremonti continua a piacere. O meglio, nella situazione attuale sembra essere percepito come il male minore per un paese che rischia di essere travolto dalla crisi del debito. Il premio che gli investitori chiedono per detenere titoli di stato italiani (rispetto ai titoli tedeschi) è sceso dal 2,12% all’1,54% in una settimana. L’emergenza sembra essere rientrata. Ma se dopo il 14 dicembre l’Italia diventerà ingovernabile, o se Berlusconi rimarrà aggrappato a una manciata di voti, le cose potrebbero prendere una brutta piega. Questo almeno è quello che si legge sulla stampa finanziaria internazionale. Cosa può salvare l’Italia dal baratro? “La continuità nella politica fiscale, garantita dall’attuale ministro dell’economia”.

“Se Berlusconi sarà sconfitto dal voto di sfiducia e si formerà un governo di transizione molto probabilmente il ministro dell’economia Tremonti sarà chiamato a giocare un ruolo di primo piano”, scriveva ieri il Wall Street Journal. “In tal caso la crisi politica italiana non diventerà un problema dal punto di vista economico, perché non ci sarà un cambiamento significativo nella politica fiscale”.

Intervistata da Bloomberg, Lavinia Santovetti, economista (italiana) della banca di investimenti Nomura a Londra, la mette giù in modo più esplicito: “Se Berlusconi ce la farà, Tremonti rimarrà al suo posto e questa sarà vista come una buona notizia dai mercati. In qualche modo Tremonti è riuscito a mantenere le finanze pubbliche sotto controllo”.

Il debito pubblico italiano è esploso a 1.800 miliardi di euro ed equivale al 118% del prodotto interno lordo. In Europa siamo secondi solo alla Grecia. Ma il deficit per il 2010 sarà “solo” del 5% (contro il 7,7% della Francia e il 9,3% della Spagna), non abbiamo avuto una bolla immobiliare, le banche sono tutto sommato in buone condizioni e l’indebitamento delle famiglie è molto limitato rispetto ai livelli di Spagna e Portogallo. “Tutto merito delle politiche di rigore fiscale degli ultimi anni”, scrivono in coro i giornalisti finanziari delle maggiori testate europee.

Il vero problema dell’Italia è che da anni non cresce più. Negli ultimi dieci anni siamo cresciuti mediamente dello 0,54% all’anno. I consumi sono cronicamente al palo e, secondo gli analisti, l’elevata propensione al risparmio delle famiglie è in realtà “il riflesso di politiche di welfare inadeguate e della mancanza di fiducia nel sistema pensionistico”, come si ricorda di dire Reuters. In pratica i cittadini italiani continuano a risparmiare, nonostante tutto, perché non si fidano di chi li governa.

Come se non bastasse, la produttività del nostro paese è inferiore del 24% rispetto a quella degli USA e del 10% rispetto ai quindici paesi più importanti dell’Unione Europea. La percentuale di donne e giovani che lavorano è tra le più basse in Europa, mentre le imprese “abusano di contratti a breve termine, senza investire nello sviluppo delle persone”, come ricorda il Wall Street Journal.

Il problema, in sostanza, è strutturale. E per risolverlo la calcolatrice del ragionier Tremonti servirà a ben poco.

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