A cavallo di Ferragosto, che in America non significa nulla, il presidente Barack Obama fa due cose che gli si addicono proprio: prima “benedice” l’apertura di una moschea nei pressi di Ground Zero, il tempio della sofferenza inflitta agli Stati Uniti dal terrorismo integralista e poi porta la famiglia, la moglie Michelle e le figlioletta Sasha – la maggiore, Malia, è ancora in un campo estivo – a farsi un bagno a Panama City, in Florida, per dimostrare ai turisti che lì si può andare in vacanza senza patemi, perché la marea nera del Golfo del Messico ha lasciato relativamente indenne questa costa. Le sue ferie, il presidente Obama le inizierà solo giovedì: dieci giorni a Marthas Vineyard, l’isoletta dei Kennedy e dei “ricchi e famosi” liberal e illuminati d’America, al largo del Massachussetts. E gli ultimi giorni di lavoro sono pieni di grane, per l’uomo che pensa ancora di avere “il posto di lavoro migliore al mondo”, ma che non si diverte più con il suo blackberry perché “nessuno gli scrive”, causa le limitazioni impostegli dal Secret Service che tutela la sua sicurezza.

Rispetto all’immagine titubante del primo anno del suo mandato, il “presidente nero” sembra avere trovato, nelle ultime settimane, ritmo e convinzione: fa “cose da Obama”, cioè le cose che la gente s’aspettava da lui. E, se rincuora i suoi sostenitori, ovviamente ulcera i suoi oppositori. Qui da noi – in Italia, in Europa, ovunque nel Mondo si speri in Obama perché non si ha un leader in cui sperarem – ci si preoccupa: “Chissà che cosa succede adesso che ha detto sì alla moschea, lui che aveva promesso in campagna elettorale la tolleranza, il dialogo, l’apertura verso l’Islam, così come aveva promesso e poi ha fatto la riforma della sanità e la riforma della finanza”. E già c’è chi si strappa i capelli perché il presidente ribadisce che concluderà, come promesso, il ritiro delle truppe dall’Iraq entro il 31 agosto, anche se laggiù non è il paradiso, e che inizierà il ritiro dall’Afghanistan fra un anno, anche se laggiù è l’inferno. Ed eccoci, a 75 giorni dalle elezioni di midterm del 2 novembre, a fare calcoli con un bilancino che spesso è tarato più sulle nostre alchimie che sui criteri americani. Perché, se Obama non facesse nessuna delle cose che ha promesso di fare agli americani, e al Mondo, certamente perderebbe più voti e più credibilità di quanta non ne possa perdere dando via libera a una moschea dentro il centro culturale e religioso nell’area del World Trade Center, dove sorgevano quelle Torri Gemelle abbattute dai piloti kamikaze della rete terroristica di Osama bin Laden l’11 Settembre 2001.

Il presidente ha pronunciato il suo discorso della “libertà di culto” dando il benvenuto agli invitati alla Casa Bianca in occasione del Ramadan, il mese del digiuno musulmano appena avviato. Certo non sarebbe stata l’occasione giusta per sbattere la porta in faccia all’Islam: ragioni di opportunità, ma soprattutto ragioni di principio, perché l’America e Obama sono fautori della libertà di religione e della libertà di culto ovunque. E non avrebbe proprio senso andare a fare la lezione alla Cina o all’Iran e poi razzolare male a casa propria.

Senza dimenticare gli aspetti costituzionali e di diritto: perché il diritto di costruire un luogo di preghiera e un centro di aggregazione su un terreno privato a sud di Manhattan è sancito dalla legge e non si vede bene a che titolo il presidente potesse inficiarlo. Del resto, la Casa Bianca non è certo rimasta isolata: il sindaco di New York, Michael Bloomberg, che è un repubblicano, aveva già fatto sapere di non vedere problemi nella moschea; la gente della Grande Mela è mediamente più democratica e più liberal del resto dell’America; gli ebrei, che qui sono tantissimi e potentissimi, sono divisi; e le associazioni dei familiari delle vittime protestano, ma discutono. Certo, la destra religiosa, i conservatori “evangelici”, i repubblicani guidati (e fin che è così ai democratici va di lusso) da Sarah Palin, fanno il diavolo a quattro e sostengono che Obama s’è arreso al terrorismo, contro cui conduce – dicono – una guerra senza convinzione. E invece proprio il no alla moschea sarebbe stata una vittoria di al Qaeda, come lo furono le torture e le violazioni dei diritti dell’uomo tollerate nell’America di Bush in nome della lotta al terrorismo.

La capacità di separare Islam e integralismo, religione e fanatismo, e la volontà di dialogare sono una sconfitta per i kamikaze. Come poi questo peserà sul voto di midterm – perché anche in America si pongono il problema – Obama se l’è certo chiesto. Ma, intanto, ha fatto la cosa che doveva fare: se gli americani hanno mandato alla Casa Bianca lui, e non il duo McCain/Palin, un motivo c’è.

Da Il Fatto Quotidiano del 17 agosto 2010

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