A quasi due anni dall’inizio della crisi economica mondiale irrompono nello scenario italiano i licenziamenti di massa. I vertici di Telecom Italia hanno annunciato ieri pomeriggio ai sindacati di categoria l’avvio della procedura prevista dalla legge 223 del 1991, quella che regola i licenziamenti collettivi. Nei documenti, che giungeranno lunedì mattina sulle scrivanie dei sindacalisti e dei funzionari del ministero del Lavoro, è scritta una cifra impressionante: 3.700 licenziamenti. La procedura prevista dalla legge dà 75 giorni ai sindacati per discutere con l’azienda, e per chiedere una riduzione del numero degli esuberi o il ricorso a misure alternative, come la cassa integrazione o la messa in mobilità. Sarà una battaglia durissima, che l’azienda ha scelto, forse non a caso, di combattere in piena estate.

Ciò che rende ancora più clamoroso l’annuncio di Telecom Italia è il fatto che sia venuto proprio nel giorno dello sciopero nazionale proclamato da tutti i sindacati per protestare contro il piano industriale dell’amministratore delegato Franco Bernabè, caratterizzato soprattutto dai tagli al personale, che è il modo principale escogitato dall’azienda per abbassare i costi di gestione e per difendere la redditività in un mercato che vede le quote dell’ex monopolista e i suoi stessi ricavi in costante erosione. ll pomeriggio di ieri sembrava dedicato alla consueta guerra di cifre sullo sciopero, che è stato comunque un successo. Per i sindacati ha visto l’adesione del 70 per cento dei dipendenti Telecom, con punte dell’80 per cento nei settori più colpiti dalla ristrutturazione, quelli dell’assistenza tecnica e dell’informatica. Per l’azienda hanno scioperato solo il 28 per cento dei lavoratori.

Il quadro di Telecom Italia era già drammatico prima che arrivasse la bomba dei licenziamenti. Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, aveva così commentato lo sciopero: “Lo sciopero unitario delle lavoratrici e dei lavoratori del Gruppo Telecom induce preoccupazione nel governo perché evidenzia assenza di dialogo tra le parti in relazione a un’ipotesi di ulteriore ristrutturazione organizzativa con pesante ridimensionamento dell’occupazione”. L’assenza di dialogo si dimostra nel fatto che l’azienda non ha commentato lo sciopero e neppure le parole del ministro. Il quale comunque ha auspicato un concreto confronto tra le parti sul piano industriale, ed è stato paradossalmente accontentato: adesso la discussione si svolgerà proprio nel suo ministero, secondo il dettato della legge 223.

In dieci anni il gruppo Telecom Italia è riuscito a ridurre il personale di circa 50 mila unità. Ma mai, nella lunga catena di accordi sindacali che hanno sancito gli esuberi – prima negli anni della gestione firmata da Marco Tronchetti Provera e poi sotto la regia di Bernabè – si era sentita la parola “licenziamenti”. Proprio alla vigilia dello sciopero di ieri l’azienda aveva sottolineato che finora non c’erano mai state uscite non volontarie dall’azienda. Ma ieri la parola “licenziamenti” ha fatto il suo clamoroso esordio nel già agitato scenario di Telecom Italia con una telefonata (e con quale altro sistema, in una società telefonica?).

Rabbiosa la reazione del leader della categoria Cgil, Alessandro Genovesi: “E’ un comportamento vergognoso da parte di un’azienda che nel 2009 ha fatto utili per un miliardo e mezzo di euro, che ha già circa mille lavoratori in contratto di solidarietà (quindi con stipendi integrati da risorse pubbliche) e che continua a remunerare a peso d’oro dirigenti e manager”. Nel 2009, in effetti, la retribuzione di Bernabè si è avvicinata ai 4 milioni di euro, in un anno caratterizzato dall’espulsione di 5.700 dipendenti. I conti della riduzione del personale Telecom preoccupano i sindacati e non solo. Il piano triennale 2010-2012 prevede 6.800 esuberi (i 3.700 di ieri sera sono dunque solo la prima tranche). In più è in corso la cosiddetta esternalizzazione di 2 mila informatici verso la controllata Ssc, dove sono però già previsti altri 645 esuberi. I sindacati paventano poi un’ulteriore esternalizzazione, quella di 7-8- mila addetti al settore del customer care, cioè dell’assistenza clienti, che finirebbero nella controllata Telecontact. E’ chiaro che spostare migliaia di persone da Telecom Italia a una società esterna, sia pure controllata, prelude a sviluppi preoccupanti per gli interessati.
In pratica i sindacati temono che nei prossimi 2-3 anni vengano espulsi dal perimetro di Telecom Italia oltre 10 mila degli attuali 53 mila dipendenti del gruppo in Italia.

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