Alti finanziamenti, ma il numero è ancora semi-sconosciuto

Tra gli enti no profit che vigilano sui soggetti deboli, Telefono Azzurro è ormai un brand. Il telefono amico dei bambini per eccellenza, attivo fin dal 1987. Le cifre 2009 sono colossali: due milioni di telefonate gestite ogni anno, migliaia di interventi, una rete territoriale sempre più ramificata.

Spiega Claudio Foti, psicoterapeuta e perito: "Le cifre dichiarate da Telefono Azzurro mi hanno sempre colpito. Ricordo interrogazioni parlamentari di fine anni ’90: si metteva in evidenza come, a fronte di una quantità gigantesca di chiamate, gli esiti presso i servizi sociali e i tribunali fossero davvero scarsi".

In quegli anni una funzionaria, che chiede l’anonimato, lavorava lì: "Credevo molto nell’attività di sensibilizzazione sul tema infanzia. Ma i contenuti scientifici erano l’ultimo problema: tanti convegni e molta autocelebrazione. Non so se oggi, con l’avvento del 114, lo scenario sia cambiato".

Il servizio emergenza, concesso in appalto dal Dipartimento per le Pari Opportunità, dai ministeri delle Comunicazioni e del Welfare nel 2002 e puntualmente rinnovato (quest’anno vale 1,2 milioni), ha fatto schizzare le performance e consentito maggiore solidità alle attività connesse, come i Tetti Azzurri di Roma e Treviso, e i nuovi Centri territoriali, spazi di assistenza gestiti direttamente dal Telefono. Qui viene indirizzato chi chiama i numeri baby e adulti (vedi www.azzurro.it ).

Le strutture attive sono sei e godono di vari benefit e finanziamenti. Oltre a donazioni e 5 per mille: solo così arrivano circa 5 milioni l’anno. Il bilancio 2008 è di quasi 10 milioni di euro. "Eppure il 114 ci ha lasciato a casa" dice Monica Castelli, una dei 25 dipendenti che lavoravano a Palermo, sede centrale del servizio. "Nonostante il ministro Carfagna abbia pagato i 400 mila euro per il periodo di proroga, l’ente ci ha sostituiti coi volontari del servizio civile. Ragazzi dai 18 ai 25 anni, non certo esperti. E pensare che l’altra estate un sultano giunto in porto col suo yacht regalò due milioni di euro. Che fine hanno fatto?".

Al Dipartimento per le Pari Opportunità non lo sanno. E anzi spiegano che l’attività svolta da Telefono Azzurro non è soggetta a controlli ministeriali. Niente verifiche o ispettori, tranne in caso di denunce.
Daniela Cremasco, assistente sociale a Roma, è perplessa: "Quando c’è di mezzo un bambino la telefonata è un passaggio delicatissimo, occorre massima professionalità. E il problema vero è: quale percorso di aiuto si attiva dopo il primo contatto? Io, in dieci anni, ricordo solo due segnalazioni.

Un sondaggio tra i Municipi romani conferma: a memoria di assistente, nessun caso al II, un caso l’anno al IX, due casi l’anno al V, un caso in cinque anni al VI e all’XI, forse uno in dieci anni al XIX. Insomma, nella Capitale si possono stimare dieci episodi l’anno, non di più. Dove finiscono gli altri?

Secondo i dati ufficiali del Telefono, il 60% dei casi ritenuti rilevanti viene segnalato proprio ai servizi sociali (seguono forze di polizia, Asl e questure). La onlus, interpellata, fa rispondere da un funzionario interno, ma chiede di mantenerlo anonimo: "Il problema è che il 114 è ancora poco riconosciuto dagli operatori. E poi pesiamo poco sulla rete sociale, cerchiamo strade alternative".

La responsabile della Comunicazione, Cristina Massara, puntualizza: "Le procedure sono garantite e certificate, tutto avviene nel rispetto del protocollo".
Andrea Bollini è presidente del Cismai, 64 strutture pubbliche e private di tutta Italia altamente specializzate nella cura dei minori: "Nella mia esperienza i casi partiti da Telefono Azzurro sono pochissimi. E può configurarsi un conflitto d’interessi se lo stesso ente gestisce il 114 e i centri di cura. Speriamo che il prossimo bando sia di livello europeo, per affidare il servizio al soggetto più adeguato. Proporrei di sfruttare meglio gli Uffici Minori delle questure, strutture ormai prontissime a gestire la fase di emergenza. Poi, per la presa in carico, servono investimenti strutturali nelle istituzioni pubbliche già esistenti. Le operazioni di facciata sono inutili. E a volte dannose".

da il Fatto Quotidiano del’11 febbraio

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