Acque torbide

Estate 2016 tra ombrelloni, sdraio e boss: l’Italia in spiaggia con le mafie

Stesse cosche stesso mare - Negli ultimi cinque anni sono almeno 110 i lidi a cui le forze dell’ordine hanno posto i sigilli perché direttamente gestiti dai clan

14 Agosto 2016

Tutti in spiaggia sotto l’ombrellone in questi giorni nonostante il dato allarmante rivelato dalla Goletta Verde di Legambiente: ogni 54 chilometri di costa in Italia c’è uno sversamento di scarichi fognari non depurati. E, soprattutto, gli stabilimenti balneari che affittano sdraio e vendono le bibite, spesso i due fattori coincidono, sono gestiti dalla criminalità organizzata: secondo dati ricavati da relazioni della Direzione investigativa antimafia negli ultimi cinque anni sono stati centodieci gli stabilimenti balneari sequestrati direttamente alle cosche. L’interesse dei boss mafiosi per le spiagge e i litorali è dovuto al ricchissimo business che queste generano ed è facilissimo riciclare denaro di provenienza illecita sul bagnasciuga grazie agli irrisori costi delle concessioni demaniali, che – secondo dati del Ministero dell’Economia – incidono su meno del cinque per cento del fatturato degli stabilimenti balneari stessi. Un giro d’affari certificato dall’Agenzia delle entrate intorno ai 2 miliardi di euro, con almeno un altro miliardo di sommerso relativo al lavoro nero.

Cabine per super-vip a prezzi incredibili – Quella delle spiagge è una vecchia battaglia del portavoce dei Verdi Angelo Bonelli, recentemente vittima di pesanti minacce con un fegato di animale lasciato sul pianerottolo di casa a Ostia in piena notte, che denuncia: “La gestione del demanio marittimo da parte dello Stato italiano è un’anomalia negativa in Europa e nel mondo sia per la svendita delle spiagge che è stata fatta sia per il record di cementificazione che le coste hanno subito. Questi due elementi favoriscono la penetrazione della criminalità organizzata. Uno stabilimento balneare medio viene affittato dallo Stato alla cifra ridicola di 1200 euro al mese con fatturati milionari”. Infatti, lasciando fuori dal discorso la criminalità basta considerare i dati di stabilimenti come il Twiga reso famoso da Flavio Briatore e Daniela Santanchè: spiaggia extralusso a Forte dei Marmi con cabine da quattromila euro a stagione estiva, versa allo Stato un canone di concessione di circa 14mila euro l’anno per 4485 metri quadri a fronte di ricavi per circa 3 milioni di euro l’anno. Briatore non è il titolare diretto della concessione e paga un subaffitto di 300mila euro l’anno.

Per fare un altro esempio ritorniamo a Ostia, il mare della Capitale, dove lo stabilimento Le Dune è gestito da Renato Papagni, il presidente stesso della potente Federbalneari, l’associazione di categoria: poco più di 35mila euro versati al Demanio per la concessione, decisamente meno di quello che può essere l’incasso per una stagione balneare che a Roma è lunga almeno da giugno, se non da maggio, a fine settembre. Situazioni di questo tipo ci sono lungo tutto lo Stivale, dalla Liguria alla Puglia e dal Veneto alla Calabria. Infatti, sono intorno alle 25mila le concessioni demaniali marittime assegnate, anche se un numero preciso è impossibile da registrare in quanto manca una banca dati unica. Un potenziale tesoro per lo Stato, invece utile ad arricchire soltanto i titolari delle concessioni e molta criminalità. E neppure tutto il dovuto viene effettivamente pagato. L’evasione regna. A svelarlo sono i dati dell’Agenzia del Demanio: nel 2014 su 280 milioni da riscuotere lo Stato ha incassato soltanto 105 milioni. “Poi ci sono anche quelli che la concessione la pagano per intero – spiega il verde Bonelli – ma molti di loro la fanno fruttare più del dovuto con qualche piccola furbizia, cioè utilizzando senza specifiche autorizzazioni spiagge e arenili anche come discoteche, centri sportivi e in qualche caso pure beauty farm a cinque stelle”. Inoltre, più volte la Guardia di finanza ha accertato la mole considerevole di lavoro nero negli stabilimenti balneari, che si tradurrebbe in almeno un miliardo di euro, a fronte dei due miliardi di giro d’affari “emerso”.

La mappa nazionale della piovra-beach – Ritorniamo alla criminalità. La presenza delle mafie e degli interessi delle cosche accertata sulle spiagge è di proporzioni considerevoli. Soltanto negli ultimi anni sono stati 110 i sequestri di stabilimenti e chioschi. L’ultima operazione di una certa importanza, denominata “Ultima spiagga” dalla Guardia di finanza di Roma, riporta ancora a Ostia: sequestro del porto turistico, dello stabilimento Plinius e del bar-spiaggia Hakuna Matata per gli intrecci, stando alle accuse degli inquirenti, tra il titolare Mauro Balini, il narcotrafficante Cleto Di Maria, i clan Fasciani e Spada.

’ndrangheta sull’arenile e merda in mare – Oltre 450 chilometri più a nord, a Lavagna, provincia di Genova, a giugno, dopo l’arresto e la sospensione del sindaco Giuseppe Sanguineti, sono stati sequestrati diversi stabilimenti balneari del lungomare gestiti, secondo l’accusa, dalle famiglie Nucera e Roda-Casile della ’ndrangheta: il Comune sarebbe colpevole di aver omesso i controlli sugli scarichi abusivi dei chioschi illegali. Percorrendo di nuovo la costa tirrenica e attraversando lo Stretto troviamo a maggio il sequestro di un bottino da 15 milioni di euro, compresi diversi stabilimenti balneari, a Roberto Vacante, “esponente di rango apicale della Cosa nostra etnea” per la polizia. Tutto il patrimonio, spiagge incluse, seppur intestato a prestanome era riconducibile alla potente famiglia Santapaola-Ercolano. Su e giù per il Belpaese non c’è regione le cui spiagge non siano finite nelle mani della criminalità, così ritorniamo al nord e addirittura in Veneto. L’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia, firmata dal procuratore Roberto Pennisi, è del 6 marzo: non si contano in Veneto gli stabilimenti balneari di proprietà di società o privati legati alle cosche mafiose, acquistati in contanti a prezzi fino a otto volte superiori a quelli di mercato, elemento che risultava già nei verbali della commissione parlamentare Antimafia di 22 anni fa (relazione Smuraglia, 1994) relativamente agli affari della cosca Fidanzati tramite il gruppo criminale denominato “Mafia del Brenta” di “faccia d’angelo” Felice Maniero.

Altra spiaggia, altro mare – In Campania stessi problemi, stessi guai. È il settembre 2015, meno di un anno fa e la Guardia di finanza di Salerno sequestra beni per otto milioni, tra cui lo stabilimento balneare Bagni Savoia sul litorale di Pontecagnano Faiano, a un imprenditore “nullatenente” ma ritenuto dagli inquirenti appartenere al clan Pecoraro-Renna della Piana del Sele. Continuando il viaggio a ritroso lungo il mare italico i sequestri davvero non si contano. Dicembre 2014: stabilimenti balneari Leon e Mareusa, sequestrati a Fiumicino a Massimo Carminati, per la procura di Roma il capo indiscusso di Mafia Capitale. Marzo 2014: stabilimento balneare Lido Colaiunco, clan Alvaro, Rossano calabro (Cosenza). Settembre 2011: stabilimento Squalo beach, clan Scarci, Scanzano Jonico (Matera). Maggio 2011: stabilimenti balneari della riviera romagnola tra gli altri beni sequestrati per 2 milioni di euro alla ’ndrangheta. Novembre 2010: tre lidi balneari sul litorale domizio sequestrati a Raffaele e Guido Zagaria, ritenuti appartenenti al clan dei Casalesi. Il viaggio potrebbe continuare ancora a lungo e nessuno è immune, l’elenco può arrivare anche in Sardegna, dove le mafie – dalla Cosa nostra di Luciano Liggio agli stiddari, dalla Banda della Magliana a Camorra e ’ndrangheta – hanno investito capitali immensi sui litorali dell’isola spesso, purtroppo, cementificandoli, come affermava l’attuale seconda carica dello Stato Pietro Grasso, superprocuratore nazionale antimafia dal 2005 al 2012: “Esistono contatti tra mafie e malavita sarda per il traffico di stupefacenti e penetrazioni delle cosche in crescita nel settore turistico”.

L’allarme inquinamento di Legambiente – Il cerchio si chiude, perché se le spiagge sono nelle mani delle mafie è normale che ogni 54 chilometri di costa ci sia un tratto inquinato. Nel suo viaggio di quest’anno la Goletta Verde ha registrato la situazione più surreale a Capaccio Paestum, provincia di Salerno. Alla foce del rio Laura, inquinato da batteri coliformi fecali oltre il doppio dei limiti di legge, bambini erano impegnati e allegri in attività di acquagym sotto la guida e l’attenzione di adulti istruttori. Nessun cartello indica il divieto di balneazione a Capaccio.

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