Contro il panico

Banche, il piano del governo: Stato azionista, stop al bail in

Trattative riservate tra palazzo Chigi e Commissione Ue per un salvataggio da 40 miliardi che stabilizzi il sistema bancario dopo il tracollo di venerdì a piazza Affari

27 Giugno 2016

Il governo ha un piano pronto per reagire alle conseguenze finanziarie della Brexit: un clamoroso ingresso nel capitale delle banche italiane, finanziato dall’emissione di nuovo debito pubblico per una cifra nell’ordine di 40 miliardi di euro. Secondo quanto riferiscono fonti governative e finanziarie al Fatto, il provvedimento era atteso già nel weekend, da approvare con un consiglio dei ministri che però non è stato convocato. Sia perché i negoziati con la Commissione europea sono già in corso, sia perché per misurare la gravità della situazione bisognava aspettare l’esito delle elezioni spagnole e la riapertura dei mercati. L’incontro di oggi a Berlino di Matteo Renzi con il presidente francese François Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel è un’utile occasione per assicurarsi consenso internazionale attorno a una mossa che rischia di avere l’effetto collaterale di sottolineare agli occhi dei mercati la fragilità del sistema bancario italiano.

Dalla fine del 2014 la direttiva Brrd, recepita dall’Italia a novembre 2015, vieta agli Stati di risolvere le crisi bancarie: ha introdotto il principio del bail in, il conto del dissesto viene scaricato sugli azionisti, poi sugli obbligazionisti e se necessario perfino sui depositanti sopra la soglia dei 100.000 euro garantiti. É l’approccio che il governo italiano ha applicato, in via anticipata, per le quattro banche “salvate” a novembre, Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara e Banca Marche.

Questa svolta nella gestione delle crisi bancarie era stata votata da tutti per assicurare che mai più i soldi dei contribuenti sarebbero stati usati per salvare le banche, è uno dei pilastri dell’Unione bancaria perché dovrebbe rompere il circolo vizioso: la fragilità delle banche che richiedono debito degli Stati per essere salvate col risultato che poi le stesse banche devono salvare gli Stati comprando il loro debito che nessuno vuole sul mercato.

“Dobbiamo reagire alla fibrillazione dei mercati e dire che se non c’è la politica, allora meglio un time out. Sospendere il bail in per capire se ci sono tutte le altre condizioni non è un’eresia e può servire ad aprire in Europa un confronto franco”, ha detto ieri apertamente Francesco Boccia, deputato del Pd e presidente della Commissione bilancio.

É la stessa direttiva Brrd ad offrire uno spiraglio, visto che consente l’utilizzo di “strumenti alternativi al bail in” in caso di “stress sistemici veramente straordinari”, proprio come la Brexit. Ci sono due problemi: il governo italiano deve rafforzare le banche, non metterle “in risoluzione”, cioè smantellarle come prevede la direttiva. Inoltre l’intervento pubblico sarà soggetto alla disciplina degli aiuti di Stato (non può distorcere la concorrenza) ed è consentito soltanto dopo che “azionisti e creditori abbiano sopportato perdite pari almeno all’8 per cento delle passività della banca”. Il tracollo del valore delle azioni di molti istituti venerdì – Intesa, per esempio, ha perso il 23 per cento – potrebbe consentire di sorvolare sull’obbligo di infliggere ulteriori perdite. Un portavoce della Commissione Ue si limita a rispondere al Fatto: “Le regole della direttiva Brrd sono chiare e saranno applicate caso per caso”

Sul Corriere della Sera ieri, il professore della Bocconi Francesco Giavazzi ha iniziato a preparare il terreno: l’unica alternativa a un sostegno pubblico alle banche è il ricorso al fondo salva Stati Esm, come la Spagna nel 2012, opzione che però implica la vigilanza della temuta Troika (Fondo monetario, Bce e Commissione Ue). Giavazzi stima che i 200 miliardi di sofferenze vadano svalutati ancora del 20 per cento, determinando così la necessità per le banche di avere altri 40 miliardi di capitale per assorbire le perdite. “Lo Stato investe oggi 40 miliardi che poi potrebbe in gran parte recuperare quando venderà le azioni di cui entra in possesso”.

Giavazzi parla di azioni perché, secondo quanto risulta al Fatto, la strada scelta dal governo è proprio quella di emettere debito per diventare azionista, quasi certamente con aumenti di capitale. C’è già il precedente: come effetto del pagamento in azioni invece che in contante degli interessi sui “Monti bond”, a luglio il ministero del Tesoro si troverà a essere di gran lunga il primo azionista di Monte Paschi con il 7 per cento.

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, ieri a Sky ha annunciato che il governo è pronto “a interventi a sostegno della liquidità delle banche e della loro solvibilità”. Prima serve il via libera della Commissione sia sull’operazione sia sulle conseguenze che avrà sulla finanza pubblica, facendo salire il debito.

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