Pubblichiamo la rubrica scritta per Fq MillenniuM, nel primo numero del maggio 2017, dall’antropologa Amalia Signorelli, deceduta a Roma dopo una breve malattia

Un tempo i vigili urbani giravano a piedi. Se individuavano il comportamento di un automobilista o pedone contrario al codice della strada, constatavano l’infrazione, elevavano contravvenzione, verbalizzavano e concludevano chiedendoti: «Lei concilia?». Conciliare era bellissimo. Attraverso quella sequenza di gesti – tirar fuori il portafogli, scegliere le banconote, controfirmare il verbale – rientravi a poco a poco nel mondo dei civili, degli onesti. L’apoteosi arrivava con la consegna nelle tue mani della copia del verbale: il reprobo, redento, era tornato tra i buoni.

Per gli spiriti più audaci era assai eccitante anche non conciliare. Contrapporre all’involuto e incerto burocratese del vigile un secco, chiaro, inequivocabile «No», era pure una bella soddisfazione, tanto più che almeno un automobilista su tre era convinto di non aver fatto niente e di avere contro vigili persecutori.
Ma anche questa era, almeno parzialmente, una bella illusione. Per conciliare davvero, è indispensabile che una parte almeno delle pretese iniziali venga accantonata. Bisogna che ciascuno rinunci a una parte di ciò che vuole, per far posto a una parte almeno dei desiderata altrui. E fin qui nulla di male: visto che dobbiamo convivere, tanto vale che elaboriamo sistemi per andare d’accordo. Tuttavia… Se in questo scambio non c’è una sostanziale equivalenza, se è il più forte dei due partner a imporre termini della conciliazione che siano prevalentemente a suo vantaggio, questa diventa prevaricazione. E spesso il più debole, rassegnato, si racconta e lascia che gli si racconti che è meglio così. Guardate via della Conciliazione a Roma: non è una strada che celebra l’incontro tra due Stati, l’Italia e il Vaticano, è piuttosto la strada che conduce Roma – e per essa tutta l’Italia – a inchinarsi davanti a San Pietro.

Però, dal momento che anche i più deboli potrebbero a un certo punto ribellarsi a questo regime, anche a essi è riservato un po’ di tornaconto. In Italia è diffusa l’idea che, se non il consenso sociale, almeno l’acquiescenza popolare è abbastanza facilmente ottenibile con la pratica dello “sconto”. Il più forte fissa per la conciliazione condizioni dure; poi però è il primo a disattenderle in parte, applicandole con ‘indulgenza’, fingendo di dimenticarne qualcuna.

Dunque, per “conciliare” bisogna pregare o protestare per avere lo sconto e mostrare gratitudine quando lo si ottiene; bisogna far finta di credere alle bugie che il più forte racconta. Bisogna non battere ciglio di fronte a successi, avanzamenti di carriera le cui motivazioni restano oscure; bisogna non preoccuparsi delle conseguenze di tutto questo. Conciliare è diventato sinonimo di ‘abbozzare’: ma in cambio lo sconto è diventato una specie di diritto acquisito, dal genitore che non vuole accettare i brutti voti del figlio fino al mafioso al 41bis.
Risultato: se c’è una cosa di cui siamo certi è che in Italia è sempre possibile trovare un trucco per ottenere uno sconto sulla pena. Nella pomposamente autoproclamata patria del diritto, la sola certezza è la certezza dell’incertezza del diritto.
Concilia? A queste condizioni, preferisco di no.

Da FqMillenniuM, n. 1, Maggio 2017

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