“La domanda di auto elettriche è bassa, dovete spostare il taglio del 20% di emissioni dal 2021 al 2030“. Questo il messaggio che il presidente dell’ACEA, l’associazione dei costruttori europei, Dieter Zetsche (gruppo Daimler) ha fatto partire dagli stand del salone dell’auto di Francoforte con destinazione le autorità europee.

Una richiesta forte, una risposta neanche tanto diplomatica alle esortazioni rivolte all’industria automobilistica dal presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, che nel suo discorso sullo stato dell’Unione al Parlamento di Strasburgo si era detto “scioccato” dal fatto che i consumatori del vecchio continente fossero stati ingannati, e che per questo i costruttori avrebbero dovuto “investire sulle auto pulite, che sono quelle di domani”.

Già, ma quale domani? Nonostante annunci e buoni propositi (modelli, investimenti e compagnia cantando) sulle tecnologie a emissioni zero arrivati dalla kermesse tedesca, i problemi dell’elettrico sono sempre lì: costi, autonomia, infrastrutture. E senza la mobilità a elettroni è dura abbassare la media delle emissioni di flotta.

Dunque spostare più in avanti la dead line significa, secondo Zetsche, darsi un obiettivo più realistico, che dovrà essere “rivisto al ribasso o al rialzo sulla base di una verifica da effettuare nel 2025. La realtà è che la domanda di auto elettriche è bassa e questo non per mancanza di disponibilità e di scelta”.

Come a dire, noi le macchine le facciamo ma se poi la gente non le compra mancano i profitti per sostenere il business. Non potrebbe essere altrimenti visti i dati diffusi dalla stessa Acea, che dimostrano come solo l’1,2% delle auto vendute nel vecchio continente nei primi sei mesi del 2017 siano elettriche.

Certo, col tempo le cose miglioreranno. Specie se si avvereranno le previsioni degli analisti come quelli di Morgan Stanley, che parlano di una quota di mercato del 35% nel 2025 per le auto a batteria. Ma per ora, quei numeri restano una chimera.

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