Il 7 luglio 2017 rimarrà nei libri di storia come la data in cui il mondo ha messo fuori legge le armi nucleari e in cui l’Italia, purtroppo, ha mostrato di ritenere la fedeltà a Nato e Stati Uniti più importante della pace. Dopo mesi di difficili trattative e nonostante il boicottaggio delle potenze nucleari e dei loro alleati, lo storico Trattato per la messa al bando delle armi nucleari è stato approvato venerdì dall’Assemblea generale dell’Onu con 122 favorevoli, un astenuto (Singapore) e un solo voto contrario, quello dell’Olanda, unico membro Nato che ha partecipato ai lavori perché obbligata da un voto del Parlamento.

L’Italia ha scelto di disertare i lavori e la votazione finale, insieme a tutti gli alleati occidentali che hanno seguito la direttiva di Washington di sabotare il trattato. Perfino il Giappone ha seguito gli ordini di scuderia americani nonostante i numerosi appelli alla partecipazione provenienti dai sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki.

Secondo gli Stati Uniti, che hanno addirittura organizzato picchetti di protesta al Palazzo di Vetro durante i negoziati, bandire le armi nucleari è un obiettivo “ingenuo e irraggiungibile” vista, ad esempio, la minaccia nordcoreana. Ovviamente, il trattato è stato ignorato anche da tutte le altre potenze nucleari: Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord. Il trattato entrerà in vigore dopo la ratifica di almeno cinquanta Stati.

Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo che ha seguito i lavori a New York, spiega così la posizione di Roma: “Al momento l’Italia ritiene che un trattato che non coinvolga anche le potenze nucleari sia controproducente e mini i percorsi ‘concordati’ di disarmo previsti da precedenti accordi, percorsi che però sono in stallo da oltre 20 anni. L’approvazione del trattato è solo l’inizio di un percorso di pressione istituzionale e coinvolgimento dell’opinione pubblica per spingere l’Italia a cambiare posizione”.

Il trattato vieta non solo l’uso, ma anche la detenzione di armamenti nucleari, quindi interessa direttamente l’Italia che, pur non essendo una potenza nucleare e avendo firmato il Trattato di Non Proliferazione, ospita deicne di bombe nucleari americane B61 (nelle basi di Aviano e Ghedi) e in caso di guerra nucleare è tenuta a mettere a disposizione bombardieri strategici (oggi i Tornado, domani gli F-35) per sganciarle sugli obiettivi.

“Questo è un altro degli elementi che ha bloccato la partecipazione italiana ai negoziati”, spiega Vignarca. “Se l’Italia dovesse ratificare il trattato, dovrebbe far smantellare gli ordigni presenti sul nostro territorio. Ma è per questo che i Paesi europei con accordi di ‘nuclear sharing‘ con gli Stati Uniti (Belgio, Olanda e Germania oltre a noi) sono fondamentali per la riattivazione del percorso di disarmo nucleare. Numerosi studi giuridici hanno mostrato che la rinuncia all’armamento nucleare non è per nulla in contrasto con eventuale permanenza della Nato”.
Vignarca ricorda come la ‘servitù nucleare’ americana rappresenti anche un peso finanziario non indifferente per l’Italia, che si deve fare carico delle misure di sicurezza per proteggere le armi – in continuo aggiornamento – della presenza a Ghedi del personale americano del 704° Squadrone Munitions Support dell’Usaf, dell’addestramento dei piloti al ‘nuclear strike’ e della manutenzione dei velivoli certificati come vettori nucleari.

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