Stordito da una bevanda con psicofarmaci e ucciso da decine di colpi di martello e coltellate da chi lo aveva invitato in quell’appartamento in via Igino Giordani nel quartiere Collatino, periferia est di Roma, con una telefonata alle 7 del mattino del 4 marzo 2016. Lì Luca Varani è stato massacrato per due ore. A chiamarlo Manuel Foffo, reo confesso, condannato a 30 anni con rito abbreviato e Marco Prato, morto suicida in carcere a Velletri. La mattina del 4 erano in auto per Roma alla ricerca “qualcuno da uccidere”. Per Prato il gup aveva disposto il rinvio a giudizio e quindi un processo con il rito ordinario che era cominciato ad aprile davanti ai giudici della prima corte di appello di Roma.

Arrivato in via Giordani, il giovane “fu fatto denudare per avere con lui una prestazione sessuale, gli offrirono una bevanda con psicofarmaco tanto da stordirlo. Poi l’aggredirono”. Dopodiché hanno provato a soffocarlo colpendolo alla testa e in altre parti del corpo per cento volte fino a farlo morire dissanguato. I due, come risulta dalle indagini, hanno cercato di ripulire l’abitazione gettando gli abiti della vittima e il suo cellulare in un cassonetto, ma sono stati arrestati poco dopo il delitto. “Volevamo uccidere qualcuno, volevamo vedere l’effetto che fa”, dirà Foffo ai carabinieri. E al pm racconta la dinamica di quella notte: il bisogno di uccidere, l’accanimento sul corpo di Luca, poi nascosto sotto una coperta e lasciato in casa. E sono i Foffo a comparire sulle pagine dei giornali nei giorni successivi all’omicidio: il padre Valter, che Manuel a Prato aveva confessato di volere uccidere, difende il figlio e lo fa smentendo la sua omosessualità, nonostante abbia consumato un rapporto orale il 31 dicembre col suo complice. E anche la madre di Manuel, Daniela Pallotto, si schiera dalla parte del figlio. “Mi sembra impossibile – dice a Repubblica, commentando incredula l’omicidio -. Manuel è onesto e sincero. Lui fuori di testa? Me ne sarei accorta”.

Per la procura i due accusati avevano svolto un ruolo “paritario” nell’omicidio. Nella richiesta di rinvio a giudizio, il pm affermava che i due trentenni “dopo aver fatto entrambi ripetuto uso di sostanze alcoliche e stupefacenti nei giorni antecedenti l’evento” sono “usciti di casa nella mattinata del 4 marzo ed hanno ‘girato’ in macchina per la vie di Roma alla ricerca di un qualsiasi soggetto da uccidere o comunque da aggredire al solo fine di provocargli sofferenze fisiche e togliergli la vita“. Il giudice ha fatto cadere le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi, mantenendo solo l’ aggravante della crudeltà. Dopo la sentenza, rabbia è stata espressa dai genitori di Luca che hanno parlato di “giustizia a metà” contestando il ricorso al rito abbreviato che consente uno sconto di pena di un terzo.

Una volta arrestati, i due si accusano a vicenda, scaricando uno sull’altro le responsabilità principali del delitto. Marco Prato, durante un’interrogatorio, si proclama innocente: “Non ho ucciso Luca Varani – dichiara – Luca lo volevo salvare ma mi ha bloccato la veemenza di Foffo che io amo, sono succube della sua personalità. Il 21 dicembre scorso il pm chiede il rinvio a giudizio per entrambi con l’accusa di omicidio volontario premeditato e aggravato. I due ottengono però un giudizio separato. Foffo chiede e ottiene di poter essere giudicato con rito abbreviato mentre Prato sceglie quello ordinario. Il 6 febbraio scorso arriva la richiesta di condanna a 30 anni di reclusione per Foffo e il rinvio a giudizio per Prato. Il 21 febbraio scorso Foffo viene condannato a 30 anni. Per Prato, invece, l’inizio del processo viene fissato per il 10 aprile davanti alla I Corte d’Assise di Roma. L’udienza si sarebbe dovuta tenere domani.

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