È chiuso nell’ex Cie di Caltanissetta da ormai un mese, nonostante abbia seri problemi psichici e andrebbe piuttosto ricoverato in una clinica per essere curato. Ancora mercoledì 10 maggio, davanti alla commissione che esamina la sua richiesta di protezione internazionale per motivi umanitari, il giovane ha avuto un’altra crisi nervosa e l’audizione è stata sospesa. S. – marocchino, da 10 anni in Italia, un diploma alle scuole superiori nel nostro Paese e fino a poche settimane fa un permesso di soggiorno regolare per motivi di studio – il 9 aprile scorso era entrato in una mensa dell’università di Palermo, dove studiava economia. Secondo alcune testimonianze, avrebbe iniziato a gridare di fronte agli studenti seduti frasi sconnesse: “I satanisti che non hanno paura della morte rimangano qua. Chi è ebreo esca, chi è musulmano esca, chi è cristiano esca”. Subito c’era chi aveva pensato a un attentato anche se quando era arrivata la Polizia, S. era stato denunciato a piede libero solo per procurato allarme. I poliziotti avevano infatti perquisito la casa, spulciato nella vita del giovane, non trovando nulla che potesse fare pensare al terrorismo. Il problema è infatti un altro: da tempo al ragazzo è stata diagnosticata una malattia mentale e alla base di quella scenata in mensa c’era proprio il fatto di non avere assunto i medicinali.

La storia sembrava finita lì, quando il 13 aprile la Prefettura di Palermo gli notifica un decreto di espulsione: “Lo hanno motivato con una presunta pericolosità sociale di S. e il provvedimento glielo hanno notificato proprio mentre andava in clinica a curarsi per i suoi problemi psichici”, aveva spiegato a ilfattoquotidiano.it il suo avvocata Ilenia Grottadaurea. Così il giovane studente si è trovato improvvisamente rinchiuso in un Cpr e ha perso la borsa di studio che aveva ottenuto. L’avvocata da quel momento ha fatto partire una battaglia a colpi di carte bollate e ricorsi davanti alla giustizia anche assieme alla rete dell’Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Anche online è partita una campagna, intitolata #S Libero, perché il ragazzo venga subito portato fuori dal Cpr e non venga espulso. A favore del giovane si erano mobilitati sindacati, associazioni, parlamentari e persino il sindaco di Palermo Leoluca Orlando.

Una piccola battaglia intanto è stata vinta: dopo un’udienza davanti al giudice di pace e una martedì 9 maggio davanti a un altro giudice, la minaccia dell’espulsione sembra momentaneamente congelata. Non solo: proprio l’ultimo giudice ha deciso, contrariamente a quanto avviene solitamente, di convalidare per soli 15 giorni (invece che 60) la permanenza di S. nel Cpr. Un tempo necessario alla verifica, da parte del Dipartimento di Salute mentale, della compatibilità tra le condizioni di salute psichica di S. e il trattenimento nel Centro per il rimpatrio. Se in questi 15 giorni i medici confermeranno i problemi, S. dovrebbe uscire finalmente dal Cpr. Secondo il suo avvocato, e tutte le persone che sostengono la campagna, non ci sono dubbi: le sue condizioni mentali sono incompatibili con lo stare rinchiuso nel Centro. E intanto sulla pagina Facebook S Libero si possono leggere testimonianze sulla sua condizione dentro il Cpr: “Rimane a letto la maggior parte del tempo ma non riesce comunque a dormire; si alza solo per i pasti, comunica a stento, alterna momenti di sconforto a momenti di ingiustificata euforia. Ma soprattutto convive quotidianamente con la paura di un rimpatrio coatto e improvviso”.

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