La fibrosi cistica è una malattia genetica ereditaria che riguarda un bimbo ogni 2500-2700 nuovi nati. Provocata
dall’alterazione di una proteina coinvolta nel trasporto dei sali, determina la produzione di muco denso e vischioso che
ostruisce ad esempio le vie aeree, il pancreas, il fegato, l’intestino: i pazienti hanno molta difficoltà a respirare e sono soggetti a infezioni polmonari e tosse, da tenere sotto controllo con farmaci e drenaggi per sciogliere il muco. Non esiste ancora una cura e quindi colpiscono le nuove prospettive che arrivano grazie all’impiego di un peptide presente nel timo che potrebbe agire efficacemente. La ricerca condotta da Luigina Romani dell’Università di Perugia e da Enrico Garaci dell’Università San Raffaele Roma, pubblicata oggi su Nature Medicine, ha dimostrato come questa molecola sia capace di attivare meccanismi in grado di ricostruire il sistema immunitario e di ridurre i processi infiammatori polmonari ricorrenti nei pazienti colpiti.

“Abbiamo dimostrato l’efficacia di azione di questa molecola su cellule prelevate da alcuni pazienti con risultati sorprendenti” dichiarano Luigi Maiuri dell’Università degli Studi di Novara e Mauro Pessia dell’Università degli Studi di Perugia, altri ricercatori che hanno partecipato allo studio. La malattia cronica colpisce in particolare i polmoni ed il sistema digestivo e ha un impatto sulla popolazione mondiale equivalente circa a 80.000 persone di cui 30.000 negli Usa. È causata da mutazioni nel gene che codifica la “cystic fibrosis transmembrane conductance regulator (CFTR)” e che portano a una compromissione dell’attività del canale del cloro.

L’alterata permeabilità del cloro, l’infiammazione cronica persistente e le ricorrenti infezioni polmonari fanno sì che siano necessari protocolli con molti farmaci. Al momento non è disponibile un farmaco con questa molecola che secondo gli autori è dotata di un eccellente profilo di sicurezza. ”Grazie a questo studio, possiamo considerare come un potenziale singolo agente efficace nella terapia” della fibrosi cistica, è il commento di Allan Goldstein della George Washington University Usa, che ha partecipato alla ricerca. “Sono dati solidi ed importanti che indicano l’importanza di avviare al più presto gli studi clinici”, conclude Enrico Garaci.

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