Anche lontano lontano, al centro di un’area tra le isole Samoa americane, le isole Cook e Tonga nell’Oceano Pacifico, nello stato di Niue, c’era un “abbonato” digitale a Il Sole 24 Ore. O almeno qualcuno, con un lavoro da impiegato, la cui stranissima mail info@yoxsypt.nu compare nell’elenco dei sottoscrittori che aveva elaborato la società inglese Di Source, grazie alla quale gli abbonamenti digitali del quotidiano era gonfiati. Nell’elenco, agli atti dell’inchiesta, compaiono abbonati anche in Malaysia, Turkmenistan, Eritrea, Colombia e Senegal e indirizzi di posta elettronica che per gli investigatori della Finanza non possono che essere falsi. Del resto la sottoscrizione permetteva l’accesso anche a Italy24, il sito in inglese che il direttore Roberto Napoletanoindagato per false comunicazioni nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Milano – aveva fortemente voluto con l’ambizione di spiegare l’Italia al mondo. Ma questo progetto, a guardare i malconci conti della società di via Monte Rosa, avrebbe perso 3 milioni di euro lo scorso anno e alla fine avrebbe raccolto soltanto una quarantina di abbonati veri. Condizionale d’obbligo visto i dubbi della Procura di Milano sui bilanci del Gruppo in cui, secondo l’ex consigliere indipendente Nicolò Dubini, venivano affogate le perdite del quotidiano.

I 15 milioni persi con Cultura24 e i soldi che uscivano “senza possibilità di controllo”
Nel capitolo dissesto finanziario – su cui il pm di Milano Gaetano Ruta ha rivolto domande a tutti i testimoni – oltre allo strano affaire della cessione del ramo di azienda Gpp Business media, c’è il capitolo Cultura24 spa. “Innanzitutto si tratta di una società che ha avuto l’appalto del Comune di Milano per la gestione del Mudec (Museo delle culture) – spiega a verbale Dubini il 27 febbraio – secondo vere e proprie clausole contrattuali capestro e ne è riprova il fatto, se non ricordo male, che Cultura24 è stata l’unica a partecipare a tale appalto”. Una società che ha “portato perdite profonde” per il Gruppo anche se sarebbe stato difficile intervenire. “Su questa società non si è mai potuta attuare una gestione corretta e anche di controllo. Peraltro, è sempre stata finanziata attraverso il cash pooling (la gestione accentrata delle risorse finanziarie di un gruppo) della capogruppo senza che venisse mai discusso e approvato un piano di finanziamento dove – prosegue Dubini – figurassero le modalità di rientro del prestito. In sostanza, il finanziamento si è convertito in capitale per riparare le continue perdite (…). Il cda si è trovato spesso a ratificare finanziamenti verso una controllata; denaro che usciva dalle casse della società capogruppo che non sarebbero più tornati indietro. Il cash pooling veniva usato come una sorta di rubinetto aperto, senza possibilità di controllo”.

E ancora: “La società Cultura per quanto ricordo ha di fatto aumentato la propria esposizione verso la capogruppo fino a 15 milioni, partendo dai 5 iniziali. Non è mai stato fatto vedere un business plan per comprendere se tale denaro fosse capitale ovvero un finanziamento concesso senza le dovute garanzie. Di tale esposizione il consiglio di amministrazione si trovava solo a ratificare anziché preventivamente approvare”. Dubini  è senza pietà: “… Era una società gestita talmente male che non riusciva nemmeno a contingentare la produzione dei cataloghi per il Mudec, dei quali erano pieni i magazzini… I consigli di amministrazione delle società controllate dalla capogruppo non contavano nulla visto che che gli stessi erano costituiti da persone diretta espressione del management de Il Sole 24 Ore… Per quanto mi riguarda ho l’impressione che non si possa escludere che qualcuno si sia avvantaggiato dal dissesto finanziario del quale stiamo parlando”. Un dissesto che, allo stato, fa registrare 61,6 milioni di perdite e un patrimonio netto sceso a 16,4 milioni (-70,8 sul dato 2015).

Il servizio promozionale e le copie finite al macero
Un dissesto a cui, secondo gli inquirenti, ha contribuito anche lo scandalo delle copie digitali gonfiate o quelle cartacee mandate al macero, “Il Sole non era interessato a quante copie effettivamente venissero promosse bensì  – racconta il 10 febbraio agli inquirenti Massimiliano Massimi, amministratore della Edifreepress di Roma – alla sola fatturazione. In tal senso riconosceva comunque il corrispettivo pattuito di 0,30 su tutte le copie da promuovere indipendente dalla consegna ai clienti finali ovvero a prescindere dal fatto che venissero successivamente inviate al macero”. Perché c’è anche il capitolo delle copie distribuite a titolo promozionale che la Edifreepress acquistava dal Sole, “un numero spropositato” destinato probabilmente a utenti fittizi. Difficile allo stato – le indagini sono ancora in fase preliminare – stabilire quante copie siano diventate coriandoli, ma Massimi a verbale dice sul servizio promozionale: “Non ricordo con precisione quante copie, ma nel 2016 abbiamo raggiunto picchi per almeno cinque mensilità, di 1.200mila copie cartacee ‘di sostegno’ distribuite ogni mese nell’esecuzione di questo tipo di servizio”. Come ha raccontato l’ex ad Gabriele Del Torchio al pm Ruta, “il sistema di vendite delle copie” attraverso Di Source, Johnson e Edifreepress consentiva di inserire nei documenti contabili “vendite fittizie”. “Addirittura”, ha riferito il manager, “ho letto nei verbali” (delle audizioni fatte dal collegio sindacale, ndr) che “venivano retroattivamente imputate copie vendute per raggiungere gli obiettivi diffusionali del direttore Napoletano”. Ed è forse così che Il Sole riusciva ad avere lettori in tutto il mondo anche in uno sperduto atollo considerato un paradiso fiscale.

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