Sta facendo discutere la notizia relativa alla difesa che è stata adottata da Beppe Grillo al fine di evitare una accusa di diffamazione per un articolo non firmato apparso sul suo blog. I legali di Grillo hanno affermato in un atto processuale che “Beppe Grillo non è responsabile, quindi non è autore, né gestore, né moderatore, né direttore, né provider, né titolare del dominio, del blog né degli account Twitter e Facebook, non ha alcun potere di direzione né di controllo su tutto ciò che viene postato”.

Per quanto possa apparire strano il principio affermato dai legali del leader pentastellato, in realtà possiede un solido fondamento nella giurisprudenza di merito e di legittimità. Infatti, il blog non è equiparato a una testata giornalistica dalla legge e dalla giurisprudenza della Cassazione. E non si applicano allo stesso blog i principi relativi all’obbligo di sorveglianza a carico del direttore responsabile previsto per le testate tradizionali, cartacee e online.

Ciò significa che il titolare di un blog non risponde di omesso controllo, come farebbe una normale direttore responsabile e non può essere condannato in sede penale in caso un terzo scriva un articolo diffamatorio, a meno che non si provi con certezza che lo stesso, avendone i poteri, fosse a conoscenza dell’articolo e non lo avesse rimosso, una volta informato dell’accaduto. Così come non esiste alcuna norma che preveda che vi sia un direttore responsabile nei blog o un soggetto che debba rispondere in caso di attività illecite di terzi. Questo principio, che oggi si vorrebbe negare per fini politici in una o nell’altra direzione, consente alla rete di mantenere i principi base della libertà di informazione non professionale: primo fra tutti quello del diritto all’anonimato. Diritto all’anonimato che è però sempre relativo in internet, perché la polizia postale ha sempre l’autorità per chiedere ai provider che ospitano il sito (o ai provider di connessione) i log, ovvero le tracce informatiche di chi ha inserito l’articolo e considerarlo direttamente responsabile.

In un recente caso, la Corte di Appello di Roma ha riformato la sentenza di condanna in primo grado del titolare di un blog antidegrado di Roma proprio sul presupposto che non vi fosse una chiara identificazione di chi effettivamente risultava titolare del blog.

Sempre recentemente il tribunale di Roma in sede penale si è occupato della responsabilità per diffamazione a carico del soggetto che era ritenuto responsabile di gestire un account Twitter. Anche in questo caso la Procura della Repubblica ha chiesto l’archiviazione per l’impossibilità di attribuire in maniera chiara la responsabilità personale a colui che avrebbe gestito l’account.

Certo non è possibile basarsi su brani di atti processuali per stabilire verità a priori ed è sempre rischioso commentare atti processuali di cui non si conosce il contenuto, eppure il principio dell’omesso obbligo di sorveglianza dei blog deve comunque essere considerato un principio di civiltà giuridica legata allo straordinario mezzo della rete internet. Derogare a questo principio, a favore o contro qualcuno, può essere in verità molto pericoloso.

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