Stando ai diari del commercialista Italo Lucchini sequestrati dalla Guardia di Finanza, nell’ottobre del 2013 Giovanni Bazoli, all’epoca presidente della concorrente Intesa SanPaolo e non più consigliere di Ubi da oltre un anno, veniva consultato dai vertici della popolare lombarda alle prese con decisioni chiave per la governance dell’istituto. Normali dinamiche del mondo bancario, come ha sostenuto nei giorni scorsi il presidente del consiglio di sorveglianza di Ubi, Andrea Moltrasio, nel corso degli interrogatori in procura sul presunto patto occulto tra associazioni di azionisti, una delle quali guidata da Bazoli, che secondo gli inquirenti ha di fatto gestito la banca negli anni passati? La verità giudiziaria è ancora in buona parte da scrivere, resta il fatto che secondo quanto annota Lucchini, gli incontri sono stati diversi e gli argomenti trattati dai convenuti sono andati ben oltre le normali dinamiche tra consigliere e azionista.

Per esempio, stando al diario del commercialista, il 10 ottobre del 2013 si è tenuto un incontro presso lo studio del notaio bergamasco Armando Santus – il vicepresidente del consiglio di sorveglianza della banca in quota diocesi di Bergamo – che “doveva rimanere del tutto riservato” e che era stato concordato tra  Franco Polotti, allora presidente del consiglio di gestione della banca in quota bresciana e il bergamasco Moltrasio. Oggetto dell’incontro tra tre rappresentanti di punta dell’Associazione banca lombarda piemontese e tre della Amici di Ubi Banca, le modifiche da introdurre nella governance dell’istituto trovando un equilibrio tra i desiderata delle due associazioni di azionisti rappresentate nell’incontro e le richieste della vigilanza.

“Dopo qualche battuta (l’avvocato Bazoli ha raccontato che quando ha conosciuto Berlusconi ad Arcore erano presenti due suore …) – si legge nel documento finito agli atti dell’inchiesta bergamasca – Andrea (Moltrasio, ndr) ha introdotto la riunione facendo presente che il compito di gestire il Consiglio di Sorveglianza è particolarmente difficile, in relazione sia alle frequenti ispezioni degli Organi di Vigilanza, sia al continuo disturbo delle minoranze”. Quindi il presidente mette sul piatto i problemi di governance: “È indubbio che siano entrati in crisi i capisaldi su cui si era fondata la joint-venture tra BPU e Banca Lombarda”. Tradotto, le logiche e i principi alla base della spartizione delle poltrone vanno sostituite con concetti più morbidi, ma altrettanto efficaci, “a protezione soprattutto della filiera bresciana”. C’è poi il parere del professor Marchetti che pure legittimando l’operato dei vertici nei primi sei anni di federazione tra Brescia e Bergamo e ribadendo la bontà del pletorico modello di governance duale (in gran voga in Italia in caso di fusioni societarie spesso più per il gran numero di consiglieri a disposizione che per la sua funzionalità) evidenzia la necessità di ridurre le poltrone, in particolare quelle del consiglio di sorveglianza destinate a scendere alla pur ragguardevole quota di 17 membri e almeno di semplificare il modello federale funzionale più a una logica di spartizione di potere tra le due parrocchie lombarde, che di gestione dei costi.

Dal canto suo Bazoli prende le distanze dai cosiddetti attacchi esterni e invita i convenuti “a non lasciarci influenzare da fattori esogeni, rafforzando ciò che giova ad Ubi, resistendo alle interferenze anche degli Organismi di Vigilanza”. Non solo. Secondo Lucchini, il presidente di Intesa parlando a proposito del gruppo dirigente di Bankitalia, fa notare che “la freddezza dei numeri e dei computer pone in secondo piano l’attenzione all’uomo e ci fa correre il rischio di essere battuti sia dalle grandi banche europee, sia dai due istituti italiani di maggiori dimensioni (cioè Unicredit e Intesa, ndr). E’ per questo che Ubi deve continuare a rimanere ancorata al proprio territorio: l’Italia è un Paese dove contano ancora i campanili e la storia. Se ci chiediamo il motivo per cui Banca d’Italia ha autorizzato la creazione di un istituto popolare, duale e federale – annota ancora il commercialista bergamasco – Bazoli risponde che è stato un “espediente”, in una logica transitoria e superabile. Oggi ci dobbiamo chiedere se è venuto il momento di abbandonare i principi fondativi a partire dal Modello Federale, ben sapendo che la clientela di Brescia non verrà mai a Bergamo e viceversa, per cui bisogna mantenere la logica territoriale“.

Il dibattito procede con il fronte bresciano che vede nell’ordine sfilare l’allora presidente del Consiglio di Gestione Polotti e il vicepresidente vicario del Consiglio di Sorveglianza, Mario Cera. Il primo stempera le posizioni, ne approfitta per ricordare a tutti che “Bazoli è l’unico dei sei padri fondatori che siede ancora al tavolo della governance” e invita alla gradualità e alla moderazione nell’introdurre novità che dovranno tenere conto non solo delle indicazioni della vigilanza, ma anche degli interessi di tutti i portatori di interesse coinvolti. Cera dal canto suo ha rafforzato la presa su duale e modello federale facendo presente i possibili ostacoli giuridici conseguenti a una modifica dei modelli di organizzazione e di gestione societaria. Nel mezzo l’intervento di Santus per “richiamare l’attenzione sulla grave situazione della piazza bergamasca, ove si continua a estendere l’adesione all’Associazione Ubi Banca Popolare, contraria al matrimonio con Brescia”, nota Lucchini, aggiungendo che “oltre ai dipendenti e ai pensionati della Banca Popolare, anche altre categorie sono sensibili a tali ‘sirene'”. Conclusivo dell’incontro, in ogni caso, è l’intervento finale di Bazoli che “ha dato il via libera” al documento di revisione della governance della banca che i consiglieri intervenuti gli hanno sottoposto prima di sottoporlo all’attenzione degli organi di governo societario che ne hanno poi disposto l’implementazione.

Un placet, quest’ultimo, quanto meno imbarazzante e difficilmente opinabile. Tuttavia secondo la linea difensiva di Moltrasio, i diari di Lucchini sono solo il frutto dell’interpretazione di conversazioni operata dal commercialista bergamasco. Resta da capire come ciò si concilii non solo con il fatto che gli appunti del commercialista gli erano stati messi a disposizione dall’autore poche settimane dopo la stesura, ma anche con quanto emerso dalle intercettazioni effettuate a ridosso di un altro incontro tra i vertici delle due associazioni, quello del 13 marzo 2014, un mese prima dell’assemblea annuale della banca. La riunione, questa volta a casa di Polotti, era incentrata sulla forma societaria da dare a Ubi, scegliendo tra il modello federale strenuamente difeso da Bazoli e la banca unica che, complice la levata di scudi del professore, è decollata solo due anni più tardi. L’incontro, quando è venuto a galla, negli ultimi mesi, è stato al centro di diversi articoli di stampa. Alcuni dei quali hanno riportato anche le conversazioni telefoniche tra gli intervenuti. Come quelle in cui Moltrasio stesso ha sottolineato al padrone di casa che “queste riunioni fatte a casa tua con il presidente di Banca Intesa, ma insomma se lo venissero a sapere che figura ci facciamo diventa una cosa complicatissima”. Pronta la replica: “Dipende da noi tenere la bocca chiusa“.

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