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L’ “intrigo internazionale” immaginato dai tanti finti esperti, che si accalcano nei talk-show, farebbe impallidire persino Alfred Hitchcock che quella espressione l’ha impiegata per titolare uno dei suoi capolavori cinematografici. In tanti si sono affrettati a dipingere appassionanti “dietro le quinte”, ipotizzando i due protagonisti della vicenda giudiziaria come ispiratori delle migliori pagine di Tom Clancy o John Le Carrè.

Unico loro connotato corrispondente al normotipo dell’agente segreto l’essere totalmente sconosciuti ai più. Elemento immancabile in ogni avventura epica dai contorni informatici, invece, la disponibilità di un garage: proprio come quello dove Steve Jobs e Steve Wozniak hanno fondato la Apple e quell’altro in cui Hewlett e Packard hanno avviato la loro impresa. Questi due indizi hanno sicuramente avuto un peso significativo per chi – in assenza di informazioni dettagliate dagli inquirenti – ha voluto far credere di saperne una più del diavolo.

A questo punto mi prendo la libertà di dar sfogo – almeno per qualche riga – alla mia irrefrenabile vena goliardica.

In ogni spy-story che si rispetti non manca mai una gigantesca organizzazione di intelligence. Talmente gigantesca che a qualcuno è scappato il riferimento alla Gru, facendo correre il pensiero non al servizio segreto russo “Glavnoe Razvedyvatel’noe Upravlenie”, ma piuttosto a qualcosa di grosso da doversi spostare o sollevare.

In un attimo tutti quelli che non sapevano nulla, ma pensavano di far brutta figura a dichiararlo, hanno giocato il jolly e non hanno esitato a sparare la sigla che tutti si aspettavano: la Cia. Anche qui i soliti cattivi – consci che a blaterare fossero braccia, voci o penne rubate ai campi da arare – hanno subito compreso che i sedicenti guru dello spionaggio stessero facendo una bieca operazione di lobbying a vantaggio dei coltivatori nostrani, magnificando imprevedibili potenzialità della Confederazione Italiana Agricoltori il cui sito www.cia.it ha spesso tratto in inganno gli appassionati di thriller.

Qualche altro ha azzardato un cenno alla Nsa ma molti interlocutori distratti hanno detto che la sigla corretta era Nsu e che non andava nemmeno nominata per evitare sfortune e calamità. I più dotti (o magari semplicemente meno giovani) rammentavano che proprio la Nsu produceva l’automobile Prinz che nella colorazione verde portava una sfiga pazzesca e che negli anni Settanta gli studenti “si passavano” l’un l’altro urlando “tutta tua” al pari di quanto avveniva alla vista di una suora.

Riconquistando, a fatica, un barlume di serietà, riesce difficile credere che i Servizi più potenti del mondo possano aver assoldato (non me ne vogliano gli interessati) fratello e sorella o aver deciso di acquistare il risultato delle loro perlustrazioni informative.

Ho provato a chiudere gli occhi e, sollecitato dal ricordo di pellicole come “Nemico Pubblico”, ho cercato di vedere la sala operativa di Langley o quella a Fort Meade con fior di analisti che – stremati e delusi – si lasciano scappare “Non ce la possiamo fare da soli…. Ci vogliono gli Occhionero…”.

Non manco di fantasia, ma non ci sono riuscito. Anche a sforzarmi, proprio non ce la faccio. Perdonatemi, ve ne prego. Fortunatamente gli specialisti dell’intelligence, nonostante il ruolo serio e i toni seriosi che li contraddistinguono, sono persone di grande spirito e non serberanno rancore nei confronti di chi ha fatto abbinamenti irriguardosi.

Chi ha ragionevolmente scartato il coinvolgimento di 007 e relative strutture, rinunciando così ad innamorarsi di incantevoli tesi complottiste, si domanda se l’operato dei nostri angloconnazionali sia da ricondurre ad un incarico ricevuto da chissà quale committente e vorrebbe conoscerne le ragioni. Già, c’è un mandante? E chi potrebbe essere? Esclusi i servizi segreti, qualcuno intravede torbidi scenari massonici. Sullo sfondo appare Corrado Guzzanti che esorta i suoi fratelli al golpe…

continua…

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