Dal 2 al 5 novembre, ho partecipato al III° incontro dei movimenti organizzato in Vaticano da Papa Francesco: 180 attivisti sociali provenienti da tutto il mondo chiamati a discutere per quattro giorni sui temi del lavoro, della casa e della Terra. Il clima era quello dei Forum sociali mondiali, i manifesti e le bandiere appese alle pareti, sul palco i cartoneros di Buenos Aires, i popoli indigeni australiani a rivendicare i loro diritti al fianco di Joao Pedro Stedile, leader dei Sem Terra, di Vandana Shiva, di Ignacio Ramonet, fondatore di Le Monde Diplomatique, di Pepe Mujica, già presidente dell’Uruguay; tutti seduti vicino al cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e a don Luigi Ciotti, presidente di Libera.

Un’imprevedibile alleanza

Quello che ho vissuto in quei quattro giorni era completamente impensabile (e non solo per me): non ci ho creduto fino a quando non ho visto ed udito con i miei occhi e le mie orecchie. Prima i rappresentanti dei movimenti di tutto il mondo hanno illustrato gli obiettivi emersi nei giorni precedenti; un gruppo musicale ha suonato tra le altre anche una canzone dedicata ai partigiani curdi e un filmato inquadrava dei contadini che lavoravano i campi, mentre in sottofondo il Papa condannava chi sfrutta il loro lavoro e sullo schermo apparivano le immagini di Wall Street.

La solidarietà è necessaria ma non sufficiente

Un discorso, preciso, netto, quello di Francesco, che non dà adito ad interpretazioni differenti. Non esistono religioni o popoli terroristi, esistono invece singoli gruppi che praticano il terrorismo; esiste poi il terrorismo di Stato che semina la paura con l’obiettivo di ridurre i diritti umani. Dobbiamo rifiutare ogni muro, praticare l’accoglienza, sapendo che vi sono cause strutturali che producono emigrazioni e non ha senso distinguere tra migranti economici e coloro che fuggono dalla guerra. E’ inaccettabile che quando una banca fallisce si trovi subito il denaro per salvarla e che per soccorrere e accogliere i migranti manchino sempre i soldi. Dobbiamo contrastare la speculazione finanziaria e il Dio denaro che per molti è diventato l’unico motivo di vita. Non basta fare assistenza, è il sistema che va cambiato; anzi talvolta si finisce per garantire una sorta di credibilità ad un sistema marcio.

Un discorso che va ben oltre la dottrina sociale della Chiesa, fortemente in sintonia con la Teologia della Liberazione e con quanto i movimenti altermondialisti sostengono da 15 anni. Francesco non è un leader politico, né tanto meno è diventato il leader dei movimenti sociali, ma certamente sui temi sociali, della giustizia e dell’uguaglianza (su altri argomenti ovviamente permangono differenze anche significative) ne è diventato un rifermento etico imprescindibile.

Francesco ha scelto di farsi carico dei destini di tutti, non solo della Chiesa. Appare consapevole che il destino dell’umanità, in particolare quello dei miliardi di poveri, è messo sempre più a rischio dall’attuale modello di sviluppo, la Madre Terra stessa è a rischio a causa dei cambiamenti climatici e della devastazione del territorio. Francesco con le sue parole e con le sue azioni sembra affermare che non c’è futuro per la Chiesa se non dentro un percorso condiviso con tutti gli uomini e le donne di buona volontà a prescindere dal credo religioso di ciascuno.

La solitudine di Francesco

Oltre cinquant’anni fa Giovanni XXIII s’inseriva in una fase della Storia che preparava un grande risveglio democratico. Era la stagione dei Kennedy, ora c’è Trump e la voce di Francesco si leva isolata tra i potenti della Terra tra cui il Papa non cerca alcuna sponda. Per cercare dei compagni di strada il suo sguardo è rivolto altrove. Non è un caso che non sia molto amato nelle stanze del Vaticano e nei palazzi romani; non è un caso che i media italiani abbiano ignorato l’incontro; non è nemmeno un caso che le grandi associazioni cattoliche abbiano scelto di disertare l’udienza del 5 novembre: hanno evidentemente ritenuto che le parole dell’appello di Francesco non fossero per loro.

“Questo sistema atrofizzato è in grado di fornire alcune ‘protesi’ cosmetiche che non sono vero sviluppo: […] finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della iniquità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’iniquità è la radice dei mali sociali”.

Non è difficile immaginare quanto sia sgradevole il suono di queste parole nelle orecchie di chi si ostina a difendere, con la forza o con l’ignavia, l’attuale sistema.

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