Riproponiamo l’articolo di Salvatore Cannavò, pubblicato da Il Fatto Quotidiano il 19 novembre 2012, che ricorda fra l’altro il ruolo centrale di Tina Anselmi, scomparsa oggi a 89 anni, nella riforma sanitaria del 1978

La “Tina vagante”, come la chiamavano nella Democrazia Cristiana, la riforma sanitaria la fece correndo. Su e giù per Roma, tra il ministero e Montecitorio, staffetta tra la Dc e la famiglia Moro di cui era amica. Assediata dal
Vaticano, guardata con sospetto per il rapporto speciale con l’amica, e comunista, Nilde Jotti (che da presidente della Camera la volle a capo della Commissione P2). All’inizio visse lo spostamento al ministero della Sanità, da quello del Lavoro, come un declassamento: “Vuol dire che faremo una vacanza” disse al suo assistente più fidato, Enzo Giaccotto, segretario particolare e oggi Priore dell’Arciconfraternita dei Siciliani a Roma. Tina Anselmi ha 85 anni e Giaccotto accetta di parlare anche a nome suo: “Il 1978 fu l’anno del rapimento e dell’uccisione di Moro, il Pci era nell’area di governo, morirono due papi, di cui uno, Papa Luciani, caro amico di Anselmi”.

E quindi si correva, tra il ministero collocato all’Eur, Montecitorio, Monte Mario dove abitava la famiglia Moro. E ben presto la vacanza divenne solo una battuta dimenticata in fretta. Anche perché appena insediata alla Sanità, Tina Anselmi si trovò di fronte alla prima grana. “La legge 194, sull’interruzione volontaria di gravidanza, era stata approvata dal Parlamento anche con il suo voto contrario di cattolica, ma attendeva la firma del ministro. Le pressioni del Vaticano, fatte dalla Pastorale della Sanità, furono fortissime fino a minacciare la rottura dei rapporti. “Ma lei non indietreggiò, da ministro le sembrava inconcepibile derogare da un suo preciso dovere, firmare una legge approvata dalle Camere”.

In quell’anno vide la luce anche la legge Basaglia e nacque, poi, la riforma della Sanità. “Giaceva in Parlamento da 14 anni e non aveva mai trovato lo slancio giusto”, ricorda ancora Giaccotto. Il quadro politico (cioè l’accordo tra Dc e Pci che a quel tempo sosteneva il governo Andreotti) ne permise la realizzazione. “Il nostro interlocutore fu Giovanni Berlinguer” allora “ministro ombra” del Pci per la Sanità e uno dei padri della riforma. Il suo
discorso alla Camera del 23 dicembre 1978 non ebbe incertezze: “Essa (la riforma, ndr) è il frutto dell’iniziativa del movimento operaio, rappresentato sia dalle organizzazioni sindacali che dai partiti della sinistra, partito comunista e partito socialista”. Aggiunge Giaccotto: “Infatti nella Dc si parlò di “salto nel buio” con pressioni dei settori più moderati – Andreotti, Piccoli, i Dorotei – per annacquare quella norma perché non era possibile dopo decenni di scomuniche al Pci condividere la stessa legge”.

La riforma eliminava le vecchie mutue, decentrava i poteri alle Regioni e alle Usl, erodeva potere e denaro alle strutture private, istituiva quattro princìpi cardine, come spiegò in aula il rappresentante della Dc, Bruno Orsini: “Globalità delle prestazioni, universalità dei destinatari, eguaglianza del trattamento, rispetto della dignità e della libertà della persona”. Era la legge che accompagnava i mutamenti civili e politici dell’Italia. A opporsi furono i partiti moderati come i repubblicani, rappresentati da Susanna Agnelli, che si astennero; mentre liberali e Msi, che fece tenere l’intervento contrario a Pino Rauti, votarono contro. “Per la riforma sanitaria – continua Giaccotto – il fatto di avere come ministro una “Tina vagante” fu un bene. Questa sua caratteristica di sfuggire agli ordini di partito o, peggio, di corrente, avrebbe poi garantito il lavoro svolto come presidente della Commissione P2”.

Da Il Fatto Quotidiano del 19 novembre 2012

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