Infine siamo arrivati al punto in cui nemmeno i mercati, dall’alto del loro efficiente cinismo, si azzardano a scommettere più di tanto sull’esito del referendum britannico sulla Brexit. Venerdì 17 le Borse hanno rimbalzato grazie alle ricoperture, cioè alla chiusura di posizioni speculative al ribasso che nelle scorse sedute avevano colpito soprattutto i titoli bancari. Piazza Affari ha addirittura chiuso in rialzo del 3,49%. Un rialzo che, peraltro, più che con la Brexit sembra avere a che fare con la decisione dell’Ecofin di rimandare sine die la discussione sulla fissazione di un tetto alla quantità di titoli di Stato nei portafogli delle banche, misura che creerebbe non pochi problemi all’Italia e al suo traballante sistema bancario.

Inoltre, a mettere un freno temporaneo alle speculazioni sulla Brexit, consentendo anche un lieve recupero della sterlina sul dollaro, è stato l’efferato omicidio della deputata laburista britannica Jo Cox da parte di uno squilibrato legato a gruppi neonazisti e anti-Ue che ha contribuito ad aumentare l’incertezza sull’esito di un voto che, fino a un paio di giorni fa, vedeva nettamente avanti nei sondaggi la scelta dell’addio alla Ue. Quanto e se quest’omicidio possa davvero influire sull’esito del referendum è difficile a dirsi, ma almeno fino alla riapertura dei mercati di lunedì, le scommesse si sono spostate sulle quote dei bookmakers, che in queste ore sembrano riflettere una maggior propensione per il “remain” piuttosto che per il “leave”. Quote in verità poco affidabili, tanto più che sui mercati – rimbalzo o non rimbalzo – la guardia resta molto alta e venerdì l’oro, bene rifugio per eccellenza, ha toccato il nuovo massimo dall’inizio dell’anno al di sopra dei 1.300 dollari l’oncia.

Il fatto è che a prescindere da quello che sarà il risultato delle urne, il clima attorno e dentro l’Europa è pessimo e se anche il Regno Unito dovesse decidere di rimanere nell’Unione le tensioni non si stempererebbero affatto. Certo, sui mercati si festeggerebbe per qualche seduta o per qualche ora lo scampato pericolo di uno shock finanziario, ma poi si tornerebbe a guardare la realtà per quella che è: un’Unione debole, divisa su molti temi cruciali e messa in discussione non tanto dai movimenti anti-europeisti quanto piuttosto dagli stessi governi, che su molte questioni sembrano desiderosi di riprendersi la sovranità ceduta a Bruxelles. L’eventuale uscita del Regno Unito può accelerare in modo dirompente il processo di disgregazione della Ue, ma il dato sostanziale è che la disgregazione è già in atto da tempo altrimenti non farebbe così paura il referendum di giovedì 23 giugno, cui peraltro faranno immediato seguito le elezioni politiche in Spagna, Paese costretto a tornare al voto per l’impossibilità di formare un governo. Un clima di incertezza e di instabilità che pesa sulla già flebile ripresa europea e che non contribuisce certo ad alimentare gli investimenti nonostante l’enorme massa di liquidità immessa dalla Bce nel sistema. E’ anche per questo che, Brexit o non Brexit, c’è poco da essere ottimisti.

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