Speranze tradite. Annunci improbabili. Pagamenti in ritardo. E nessuna prospettiva per il futuro. Quello di Garanzia Giovani sarà un compleanno amaro. Domenica il piano europeo di contrasto alla disoccupazione giovanile, per il quale l’Italia ha ricevuto 1,5 miliardi di euro da Bruxelles (un quarto dell’intera somma stanziata per gli Stati con un tasso di giovani fra i 15 e i 24 anni che non studiano né lavorano superiore al 25%), compirà infatti due anni. Lanciata simbolicamente il 1° maggio 2014, giorno della festa del lavoro, nel nostro Paese la Youth Guarantee si è però rivelata un fallimento. Anzi, “un flop annunciato da rimettere il prima possibile nel cassetto”, come la definisce Michele Tiraboschi, docente di Economia all’università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore scientifico di Adapt, che in un nuovo report ha analizzato lo stato dell’arte del piano. Con giudizi tutt’altro che positivi.

PORTE CHIUSE – Perché “resta difficile riporre ora in un cassetto, assieme ai sogni di gloria di una rinnovata festa del lavoro aperta a quanti ne sono sempre stati esclusi, anche quella massa di giovani italiani che ha creduto alla parola del governo – scrive il numero uno del centro studi sul lavoro fondato da Marco Biagi –. Un vero e proprio esercito di giovani di belle speranze che hanno preso sul serio la promessa di una ‘garanzia’ iscrivendosi al programma e mettendosi pazientemente in coda a una porta che, però, per la maggioranza di loro, è rimasta chiusa alimentando rabbia e delusione”. Del resto “i numeri parlano chiaro ed è davvero difficile trovarne una interpretazione positiva – aggiunge –. Se si guarda l’evoluzione dei tassi di occupazione e disoccupazione giovanile e del numero di Neet (cioè i giovani che non studiano né lavorano, ndr) emerge chiaramente come non vi sia stata nessuna significativa inversione di tendenza a partire dal 1° maggio 2014”. Proprio così. Al netto delle cancellazioni, al piano si sono finora iscritti 897mila giovani di età compresa fra 15 e 29 anni (l’Italia ha infatti deciso di alzare l’asticella), di cui 659mila “presi in carico”. Hanno cioè sostenuto un colloquio con il centro per l’impiego e sottoscritto un patto di servizio. Per molti, a cominciare dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, si tratta di “numeri buoni”. “Sta andando meglio di quel che credessimo”, ha spiegato il 30 marzo scorso l’ex presidente di Legacoop.

A MANI VUOTE – Ma purtroppo non è così. Il motivo? “Se andiamo ad analizzare il vero numero importante, quello sulle proposte concrete fatte ai giovani iscritti, il quadro si incupisce – scrive Tiraboschi –. Secondo gli ultimi dati del ministero del Lavoro queste ammontano a circa 300 mila: circa un terzo degli iscritti al netto delle cancellazioni. Una cifra che di per sé certifica il fallimento del piano e getta una ombra scura sulle illusioni di quei 600 mila ragazzi che restano al momento a mani vuote”. Insomma, una presa in giro. Non solo. Infatti circa il 60% delle proposte “consiste in tirocini di dubbia valenza formativa, mentre i contratti di lavoro veri e propri sono poco più del 10%, con un boom a dicembre 2015, ultimo mese in cui una impresa poteva usufruire del combinato disposto di Garanzia Giovani e decontribuzione per l’assunzione di un giovane con un contratto a tutele crescenti”. E ancora: le offerte pubblicate sul sito del dicastero guidato da Poletti sono in molti casi decisamente inappropriate al contesto. Si passa dal maggiordomo al facchino, dal manovale con esperienza al pizzaiolo, dalla segretaria all’addetto al caricamento dati. “Tutti lavori nobili – ricorda il presidente di Adapt – ma per i quali non si vede l’esigenza di un tirocinio al posto di un vero e proprio contratto”.

TRASPARENZA CERCASI – L’altro nodo dolente è rappresentato dalle Regioni. Se da una parte è vero che ognuna ha definito e attuato un piano di implementazione e i bandi regionali sono presenti in tutta Italia, seppur in ritardo sulla tabella di marcia, dall’altro esiste una conclamata difficoltà di valutare i risultati raggiunti a livello locale. “Ad un anno dall’avvio di Garanzia Giovani – si fa notare nel dossier – solo un terzo delle Regioni forniva un report regionale periodico e, dopo un altro anno, la situazione non si è evoluta. Alcune Regioni compilano tali report ma non li rendono consultabili al pubblico se non su richiesta”. E così “i risultati di Garanzia Giovani divisi per Regione restano difficilmente accessibili e la situazione si mantiene poco trasparente e chiara”. Con 169.073 registrazioni, la Sicilia è la Regione con più iscritti al piano. Il 70,61% (119.386) sono stati “presi in carico”, ma ad oggi non si conosce il numero delle proposte concrete. Stesso discorso per la Campania, dove si sono registrati in quasi 129 mila e in 63.608 sono stati “presi in carico” (49,33%). Non mancano i casi virtuosi, come quelli di Lombardia e Veneto. La prima risulta la Regione che al momento ha saputo offrire proposte concrete al maggior numero di giovani (43.944), mentre in Veneto il rapporto tra presi in carico e iscritti è sopra la media nazionale (69%) e la percentuale degli attivati è la più alta tra le regioni per le quali questo dato è disponibile (l’85%). Più in generale, comunque, il rapporto totale fra registrati e presi in carico si attesta al 64,67%.

RISCHIO ESCLUSIONE – Aspetti negativi, questi, sottolineati anche dalla Commissione europea. La quale, pur non producendo un report specifico di valutazione periodica sulla Garanzia Giovani, in un recente dossier (Country Report Italy 2016) ha messo nero su bianco le problematiche esistenti nel nostro Paese. A cominciare dall’elevata percentuale di Neet, che resta una delle più alte in Europa ed è pari al 22% nella fascia d’età 15-24 anni. “Emerge quindi preoccupazione per l’elevato rischio di esclusione dei giovani dal mercato del lavoro – ricorda Adapt – che colpisce in particolar modo i giovani dai profili medio-bassi”. Ma non c’è solo questo. La commissione ha infatti sottolineato come la piena implementazione della Youth Guarantee e la capacità di proporre offerte di qualità rimangono ancora la sfida principale visto che, nonostante una accelerazione delle prese in carico, ancora soltanto un terzo di coloro che sono registrati hanno ricevuto una offerta concreta (e tra le cause di ciò è indicata quella del frammentato scenario regionale, sia dal punto di vista degli schemi di implementazione sia da quello della comunicazione del piano). Infine, per Bruxelles resta preoccupante la scarsa diffusione dell’istruzione terziaria che, ferma al 23,9% per la fascia d’età 30-34 anni è tra le più basse d’Europa.

Twitter: @GiorgioVelardi

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