E’ una scelta storica quella del Congresso americano, che ha abolito il divieto in vigore da quarant’anni di vendere petrolio al di fuori dei confini Usa. Il Senato – dopo la Camera dei rappresentanti – ha approvato, con 65 voti a favore e 33 contrari, il provvedimento promosso dai Repubblicani chiamato “spending bill” da 1.150 miliardi di dollari in cui è contenuta la bocciatura del divieto. Si tratta di un tema già ampiamente discusso dall’amministrazione Obama. Il divieto fu introdotto nel 1975, dopo il primo grande shock petrolifero. Questo costrinse gli Stati Uniti ad attuare una politica difensiva, vietando le esportazioni di una materia prima che all’epoca sembrava destinata ad esaurirsi in pochi anni.

Il testo mette, inoltre, a disposizione ingenti fondi governativi per oltre un trilione di dollari fino a settembre 2016 per finanziare agevolazioni fiscali per 680 miliardi di dollari in 10 anni per le energie rinnovabili, in particolare a sostegno dell’eolico e del solare. Il provvedimento dovrà ora essere convertito in legge dal presidente Obama, che ha sempre espresso la sua contrarietà al progetto del partito Repubblicano, storicamente vicino ai produttori di oil & gas, di rimozione del bando. In realtà le posizioni del leader democratico potrebbero cambiare a causa del basso prezzo del greggio sceso attorno ai 35 dollari a barile e consentire così all’approvazione dell’emendamento.

La reazione dell’Opec per ora non è negativa, non sono allarmati i produttori concorrenti, potenzialmente minacciati, specie i ribassisti sauditi che non accennano a diminuire la produzione e far salire i prezzi. Anche perché lo shale oil ottenuto tramite fracking in Usa diventerebbe concorrenziale solo con un greggio non inferiore a 70 dollari al barile. “L’effetto netto dell’export di petrolio americano sul mercato è pari a zero”, ha dichiarato il segretario generale dell’Opec Abdallah El Badri da New Delhi, dove partecipava al primo Forum di dialogo tra India e l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio.

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