Gli Angelucci hanno ripreso a muoversi sullo scacchiere dell’editoria italiana: chiudono il Corriere di Maremma, mettono in solidarietà i giornalisti del Corriere dell’Umbria di Siena, Viterbo, Arezzo e Rieti, hanno prolungato la solidarietà a Libero e in contemporanea aspettano che la procedura fallimentare del Tempo vada avanti per prendersi anche il quotidiano romano. Sul piatto hanno messo circa 13 milioni di euro. L’intenzione è unire le redazioni di Libero e del Tempo, affidando al giornale diretto da Maurizio Belpietro la copertura delle notizie d’importanza nazionale e rafforzando con quello finora edito dal costruttore Domenico Bonifaci la propria presenza nella capitale, sede istituzionale di decisioni politiche e crocevia d’interessi importanti per una famiglia d’imprenditori impegnati nella sanità. Ma dalla realtà di oggi alla realizzazione del loro progetto ci sono principalmente due ostacoli da superare: il primo è che al Tempo è interessata anche una cordata d’industriali capitanati dall’ex direttore generale Consob Gaetano Caputi, il secondo è mettere insieme due testate che sono entrambe in perdita.

Il Tempo ha chiesto il concordato preventivo lo scorso agosto e subito si sono candidati a rilevarlo alcuni imprenditori che politicamente gravitano nell’area del centro destra, guidati dall’ex dirigente dell’Autorità di vigilanza della Borsa per la cui nomina in Commissione era finito al centro delle indagini della Procura di Roma lo stesso presidente Consob Giuseppe Vegas. Reato ipotizzato: abuso d’ufficio. Ma proprio i rapporti tra Caputi e il mondo finanziario sembrano essersi molto raffreddati e la sua cordata non è più tanto sicura di voler andare avanti col Tempo. Del resto, a intimorire ogni possibile acquirente ci sono debiti accumulati per una trentina di milioni di euro.

Un eventuale passo indietro non può che far piacere agli Angelucci, che però hanno anche Libero da risanare e a Roma dispongono già di una redazione, quella locale del quotidiano milanese. Solo il 2014 si è chiuso per il giornale con una perdita netta di 4,8 milioni di euro, in crescita rispetto al rosso di 1,8 milioni dell’anno precedente che comunque aveva registrato 3 milioni di proventi netti nella gestione straordinaria. E questi non sono nemmeno gli unici due esercizi chiusi in rosso, tanto che “gli amministratori ritengono che sussistano significative incertezze in merito alla continuità aziendale”, come si legge nella relazione sulla gestione allegata al bilancio 2014, anche se “sono state poste in essere e programmate le azioni, ordinarie e straordinarie, volte a garantire la prosecuzione della gestione”.

Non ha navigato in acque più tranquille il Tempo, anzi. Il quotidiano capitolino si è portato dietro fino allo scioglimento della società un rosso che raggiunge quasi i venti milioni di euro. Non hanno consentito d’invertire la rotta né i prepensionamenti dei giornalisti né la decurtazione degli stipendi della redazione né la chiusura dell’edizione regionale in Abruzzo. Nonostante questo, il fascino del Tempo sembra rimanere immutato agli occhi di molti imprenditori prestati all’editoria, se prima ancora degli Angelucci e di Caputi il quotidiano è stato oggetto del desiderio nel tempo sia di Giuseppe Rotelli, anche lui imprenditore della sanità e già socio di Rcs (editore del Corriere della Sera), sia di Matteo Arpe, l’ex banchiere che in questi giorni è a un passo dal conquistare la maggioranza del Foglio ed è già editore di Lettera43, Pagina99 e in pectore di Rivista Studio.

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