centrale enel ceranoDa luglio scorso sappiamo che un territorio già di suo non proprio baciato dalla fortuna, ma forse è meglio dire dalle classi dirigenti sue e, più in generale, di questo paese, come quello di Brindisi e zone limitrofe, paga a uno degli insediamenti industriali più impattanti che siano “ospitati” della stessa terra, la centrale Enel di Cerano, un prezzo che oscilla tra i 7 e i 44 morti all’anno, causati dalle emissioni di particolato, primario e secondario, dell’impianto.

Lo ha accertato un lavoro scientifico a firma di tre ricercatori del Cnr di Lecce e Bologna – Emilio Gianicolo, Cristina Mangia e Marco Cervino – pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health.

Uno studio, questo, che ha suscitato, com’era logico che fosse, reazioni composite e, in alcuni casi, scomposte.

Ha iniziato il sindaco di Brindisi, che ha liquidato i dati del Cnr come in contrasto con quelli delle “fonti ufficiali”, vale a dire Arpa e Asl, e quindi sostanzialmente allarmistici; fino a “giudicare raccapricciante il fatto che lo Stato non riesca ad avere una fonte attendibile e titolata per diffondere dati sull’ambiente”, palesando, in questo modo, la sua peculiarissima visione della libertà di ricerca scientifica, di dubbia empatia con l’articolo 9 della Costituzione.

Ha continuato l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (la predetta Arpa), dichiarando che i morti rilevati dal lavoro degli scienziati del Cnr sarebbero stati, in realtà, il frutto di mere “astrazioni teoriche”; insomma, ha esplicitato ulteriormente l’ente regionale preposto in prima istanza alla tutela ambientale, non sarebbero “morti vere”.

Ha concluso, infine, degnamente questa collana di perle teoriche la diretta parte in causa della vicenda, ossia l’Enel, che ha bollato, in maniera peraltro più che comprensibile dal suo punto di vista, come “fuorviante” lo studio del Centro Nazionale delle Ricerche.

Chi, invece, ha preso, meritevolmente, sul serio lo studio del Cnr e le sue “astrazioni teoriche” è stata la Commissione Igiene e Sanità del Senato, che ha tempestivamente convocato in audizione i ricercatori perché chiarissero il loro elaborato.

Grosso modo, in una situazione del genere, il compito di un ente pubblico, specie se istituzionalmente preposto alla tutela della salute pubblica, questo dovrebbe essere: di fronte a un allarme di tale autorevolezza per l’incolumità di una fascia vasta di abitanti di un territorio, quell’ente dovrebbe attivarsi subito per capire fino in fondo la natura e la portata di quell’allarme. E, subito dopo, per agire, con tutti i mezzi a propria disposizione, in chiave di tutela.

Non è necessario, a tal fine, neanche scomodare il principio di precauzione; al massimo, quello di prevenzione, dato che siamo in ambito di nocività per la salute pubblica non potenziali, ma certe. Ma, soprattutto, dato che quello studio attesta che, in questo caso, dalla fase del mero rischio, da “gestire”, si è passati a vele spiegate a quella del danno: un danno alla salute e alla vita delle persone: un danno costituito da morti, da 7 a 44, provocate da emissioni ambientali; cagionate, a loro volta, da attività umane. Ossia, da altre persone!

In quanto tale, quell’evento di danno, forse, meriterebbe un minimo di attenzione da parte di altri enti pubblici, quelli preposti al controllo di legalità e alla repressione dei reati: le Procure della Repubblica competenti per territorio, dato che lo studio in esame abbraccia le tre province limitrofe alla centrale di Cerano, ossia Brindisi, Lecce e Taranto.

Il “cagionare la morte di uomo”, in ogni modo, infatti, nel nostro ordinamento penale ha un nome ben preciso: omicidio.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) stima che l’inquinamento atmosferico ambientale causi nel mondo circa 3,7 milioni di decessi (800.000 solo in Europa) e il 3% della mortalità cardiorespiratoria.

A giugno scorso, è stato pubblicato il progetto Viias, che ha accertato che “nel 2005, anno di riferimento, sono risultati attribuibili all’esposizione della popolazione al PM2.5 34.552 decessi (il 7% della mortalità per cause naturali osservata in Italia).

Il 27 e 28 ottobre, il Parlamento europeo voterà la Direttiva sui Limiti alle Emissioni Nazionali (Nec). Se l’Assemblea deciderà di sostenere il Rapporto adottato a luglio dalla Commissione ambiente del Parlamento europeo ed in particolare di supportare i miglioramenti che tale Rapporto ha apportato al testo proposto dalla Commissione europea, riguardanti in particolare limiti più restrittivi e vincolanti al 2025 e 2030 e l’introduzione di limiti per il mercurio, per i popoli europei sarà tutta salute.

In caso contrario, le conseguenze in termini di prezzo per l’incolumità di quegli stessi popoli le possiamo facilmente prevedere.

Quando mai ve ne fosse bisogno, lo studio dei ricercatori del Cnr dimostra quanto la nostra salute, la nostra stessa vita dipendano dall’aria che respiriamo e, più in generale, dall’ambiente nel quale siamo immersi.

Ce ne sarebbe abbastanza per pretendere che le Autorità Pubbliche – di livello sovranazionale, nazionale e locale – su cui gravano responsabilità di tutela della salute delle persone, di quelle più indifese in particolare, provvedano e, soprattutto, agiscano di conseguenza.

O, quantomeno, per sperare in un Telethon anche per le malattie ambientali.

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