Il lavoro irregolare non è lo stesso in tutta Italia. Esistono significative differenze tra regioni. Anche le conseguenze della grande recessione sul lavoro nero sono diverse nelle varie aree del paese. E politiche efficaci richiedono una conoscenza approfondita degli aspetti regionali del fenomeno.

di Paolo Di Caro (Fonte: lavoce.info)

I due volti dell’irregolarità

Nel periodo 2008-2012 l’occupazione irregolare in Italia (dati Istat) ha registrato una crescita cumulata pari al 4 per cento. Ma il dato nazionale nasconde realtà regionali piuttosto variegate: Nord-Ovest (-3 per cento), Nord-Est (-2 per cento), Centro (-1 per cento), Mezzogiorno (+13 per cento). In un recente lavoro, abbiamo dimostrato che il fenomeno dell’irregolarità lavorativa in Italia segue due modelli distinti: uno per il Centro-Nord e uno per il Sud.

Essere occupati nel settore non regolare dell’economia significa svolgere attività volontariamente celate per sfuggire all’imposizione fiscale e agli obblighi regolamentari. In alcune aree, dove il lavoro irregolare è caratterizzato dal margine intensivo (ore lavorate), il settore non regolare agisce in modo complementare rispetto a quello regolare, mostrando un andamento pro-ciclico. In altre aree, dove l’irregolarità è rappresentata dal margine estensivo (posizioni lavorative) concentrandosi in settori come l’agricoltura e le costruzioni, la componente non regolare svolge un ruolo sostitutivo rispetto a quella regolare, manifestando una dinamica contro-ciclica.

Nel primo caso, sia l’occupazione regolare sia quella irregolare registreranno una contrazione a seguito di uno shock economico negativo, come la grande recessione. Nel secondo caso, lo stesso shock contribuirà a ridurre l’occupazione regolare, ma favorirà l’incremento di quella irregolare.

Diversi fattori spiegano un andamento di questo tipo: dimensione delle imprese, composizione settoriale, distribuzione delle competenze nel settore irregolare, ridotta disponibilità di credito. Se le differenze regionali sono significative, come nel caso italiano, nelle varie regioni il settore irregolare dell’economia risponderà in modo diverso a una variazione dell’economia nazionale.

Crisi e lavoro irregolare

La distribuzione territoriale del settore irregolare in Italia è fortemente diversificata. Il livello massimo si registra in Calabria (27 per cento), quello minimo in Lombardia (7,9 per cento). Nel Centro-Nord le unità di lavoro irregolare sul totale sono pari al 10 per cento, al Sud sono quasi il doppio (19,7 per cento). I dati si riferiscono al periodo 2001-2012. La tabella 1 riporta la crescita cumulata (anni 2008-2012) degli occupati regolari e del tasso di irregolarità nelle regioni italiane.

Tre aspetti meritano particolare attenzione. Primo, l’interdipendenza tra economia regolare e sommersa mostra caratteri differenti al Centro-Nord rispetto al Sud. Nelle regioni centro-settentrionali si registra una relazione positiva tra occupazione regolare e irregolare. Al Sud, la relazione diventa negativa con un aumento del lavoro irregolare che controbilancia la riduzione di posizioni lavorative regolari. Perché? Nel primo caso, ci possiamo attendere che il settore irregolare sia composto principalmente dal margine intensivo (esempio: ore di straordinario non dichiarato). Inoltre, l’importanza del settore manifatturiero al Centro-Nord, che beneficia delle economie di scala e delle opportunità di esportazione, rende meno conveniente operare nell’irregolarità, dati i vincoli dimensionali delle imprese non regolari. Nel caso delle regioni meridionali, dove la disoccupazione è maggiore e la quota del settore manifatturiero (escluse le costruzioni) è meno rilevante, l’occupazione irregolare in tempo di crisi può essere considerata come una strategia di sopravvivenza e una via per rimanere ai margini del mercato del lavoro.

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In secondo luogo, le due macro-aree registrano differenze anche per quanto riguarda l’intensità dei tassi di crescita cumulata: al Sud si registrano variazioni del lavoro regolare e non regolare maggiori. In altre parole, non solo la grande recessione ha effetti maggiori sul mercato del lavoro meridionale, ma questo sembra anche divenire più fragile con uno spostamento della forza lavorativa verso l’irregolarità.

Terzo, è utile riflettere sull’interazione tra disoccupazione e settore irregolare e sugli effetti di lungo periodo della crisi economica nei confronti delle due variabili. Nel Mezzogiorno, il lavoro irregolare ha forse contribuito ad attutire, almeno parzialmente, gli effetti della crisi economica e della perdita di occupazione dovuti alla grande recessione. Tuttavia, in questa macro-area donne e giovani – categorie tipicamente al margine del mercato del lavoro – rischiano di entrare nel mercato del lavoro mediante la porta secondaria dell’irregolarità, con effetti negativi in termini di protezione sociale e assicurativa e sottoutilizzazione del capitale umano. Politiche del lavoro efficaci, quindi, non possono prescindere dalla conoscenza del fenomeno dell’irregolarità e delle sue varianti regionali.

* Paolo di Caro si è laureato in Economics (summa cum laude) presso l’università Bocconi di Milano, ha conseguito il Master of Science in Public Economics presso l’University of York (with distinction) e il Ph.D in Economics presso l’Università di Catania. Attualmente lavora come Postdoctoral Research fellow presso il Dipartimento di Economics dell’Università di Catania e come Research Associate presso il Centre for Applied Macro-Finance alla University of York, UK.

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