“Nel 2015 abbiamo svoltato, nel 2016 si tratta di accelerare”. Perciò è in arrivo una manovra “espansiva e non di rigore”, fatta prima di tutto di “meno tasse”. Matteo Renzi ha così salutato venerdì sera la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def) nel corso della conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri. Con la quale il governo ha rivisto al rialzo le stime di crescita sia per il 2015 – con il Pil atteso a +0,9% rispetto al +0,7% previsto ad aprile – sia per il 2016, che dovrebbe chiudersi a +1,6% ( la previsione di primavera era +1,4%). In salita, però, anche il deficit programmato, al 2,6% del Pil nel 2015 e al 2,2% (rispetto all’1,8) nel 2016, la prevista mossa necessaria per avere più risorse per finanziare le misure della prossima manovra. Taglio delle tasse sulla casa incluso.

Grazie allo sforzo che il Paese ha fatto ora l’Italia, ha detto a tal proposito il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, “è pienamente legittimata” a chiedere più margini per consolidare il percorso di crescita attraverso una manovra che punterà a dare ulteriore slancio in particolare “alla domanda interna”. Il governo, dunque, tira dritto nonostante gli scetticismi espressi da più parti. Ultimo Moody’s che consiglia di tagliare invece le tasse sul lavoro. Uno dei perni su cui si reggerà la legge di stabilità sarà la flessibilità, che dovrà essere utilizzata, ha puntualizzato il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici “dentro le regole Ue”. Regole che sono pienamente rispettate, ribadisce il governo, anche sul debito, visto che “quello che conta è il percorso di aggiustamento strutturale”, ha chiarito Padoan. Per la prima volta dal 2007, sostiene il ministro, questa “zavorra” comincerà ad essere alleggerita, passando dal 132,8% di quest’anno al 131,4%. Il debito “preoccupa” e va abbassato “per i nostri figli e i nostri nipoti”, garantisce il premier, convinto però che la migliore strategia per abbatterlo sia la crescita.

Numeri alla mano, per la manovra il governo ha bisogno di almeno 27 miliardi e 13 dovrebbero arrivare proprio dallo sfruttamento delle clausole europee: grazie al lavoro fatto dal ministro dell’Economia, ci tiene a sottolineare il premier ringraziando Padoan, Roma sembra convinta di essere molto vicina all’ok di Bruxelles per sfruttare fino in fondo la clausola per le riforme e a utilizzare in parte, per lo 0,3, quella per gli investimenti, che consentirà non solo di avere “maggiore spazio di bilancio” ma anche, secondo il titolare di via XX Settembre, di “migliorare la macchina pubblica degli investimenti”. A questi si potrebbero aggiungere altri due punti di margine aggiuntivi (che porterebbero il deficit 2016 al 2,4%) per il controvalore di circa 3,2 miliardi di euro: l’Italia li chiederà per affrontare “l’emergenza dei migranti“. E visto il flusso degli sbarchi sulle coste italiane sarà difficile negarglieli. Il totale fa circa 16 miliardi di euro.

La chiave di quei miliardi passa però proprio per Bruxelles. L’Italia ha già ottenuto dalla Commissione Ue il via libera ad uno 0,4% di deficit in più ottenuto grazie alle riforme messe in campo fino alla primavera. Ora l’obiettivo è ottenere un altro margine dello 0,4%, puntando su un ulteriore 0,1% concesso sulle nuove riforme (come quella del credito ad esempio) e su uno 0,3% da ricavare sugli investimenti. In base alla comunicazione sulla flessibilità di gennaio scorso, i soldi spesi per investimenti infrastrutturali (scuole comprese) cofinanziati dall’Ue possono essere infatti scorporati dal calcolo del deficit.

L’altro dato rilevante è quello del debito. Il rapporto con il Pil diminuirà dopo anni di crescita, ma meno di quanto previsto ad aprile. Il governo rivendica una tendenza al ribasso che non si vedeva da 8 anni a questa parte (”rispettiamo la regola del debito”, ha spiegato Padoan), ma la velocità di aggiustamento sarà inferiore. Tanto che il pareggio di bilancio è stato rimandato ancora una volta di un anno, al 2018. Uno slittamento che secondo il Tesoro non rappresenta un problema, visto che quello che conta è l’andamento verso il basso, ma dovrà comunque essere valutato in sede Ue.

“Non sarà facile centrare l’obiettivo di crescita fissato dal governo all’1,6% per il 2016”, ha commentato sabato mattina l’economista Giacomo Vaciago, in un’intervista al Messaggero. “Molta parte della crescita si basa sull’export nei paesi emergenti – dice – ma i Brics vanno male, oltre al fatto che c’è sempre da chiedersi quanto siano attendibili le loro statistiche”. L’ex consulente del governo Prodi, poi, non ritiene “sia sufficiente una ripresa dei consumi interni a garantire una crescita adeguata. Anche perché l’Italia è un Paese quasi deindustrializzato. Non dimentichiamo che con la crisi ha chiuso il 10% delle fabbriche. Buona parte dei consumi andrà in importazioni”. Per centrare l’obiettivo 2016 del Pil “occorre che il governo si rimbocchi le maniche e compensi con una politica adeguata questi choc negativi. Finché non ci saranno le nuove fabbriche a sostituire quelle che hanno chiuso, sarà impossibile creare un milione di posti di lavoro. Servono investimenti, privati e pubblici. Investimenti in infrastrutture e in diffusione dell’innovazione”.

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