Lo hanno capito anche gli americani, che Roma sta crollando. I romani lo sanno da tempo, ormai, ma oggi alle loro proverbiali lamentele (che sono tante anche quando va tutto bene, figuriamoci adesso) si aggiunge un durissimo articolo del New York Times, firmato da Gaia Pianigiani, che ripercorre le difficoltà che sta incontrando il “Forrest Gump Ignazio Marino” nell’affrontare una crisi che più che politica è morale, culturale, sociale: “Il sindaco si trova sotto un assedio politico nella città che ha promesso di salvare da se stessa”. E ancora: “I romani hanno la sensazione che la loro antica città, ancora più del solito, stia crollando”

Roma non sarà stata costruita in un giorno, ma per distruggerla è bastato qualche decennio di cattiva amministrazione, di burocrazia asfissiante, di politica torbida. L’articolo del New York Times parte dalle piccole cose, dall’erba dei parchi pubblici che arriva al ginocchio, dallo sciopero bianco della metropolitana che sta esasperando i cittadini in una delle estati più calde di sempre, dall’incendio che ormai qualche mese fa ha mandato in tilt l’aeroporto di Fiumicino. Gaia Pianigiani assolve Ignazio Marino, o almeno lo fa dal punto di vista morale: “Un ex chirurgo la cui integrità rimane senza macchia”. Una rispettabilità che, secondo la giornalista del New York Times, “a Roma non è necessariamente vista come parte della soluzione”.

L’ultimo colpo alla reputazione di Roma è stato il più forte: con “Mafia Capitale”, la classe dirigente di destra e sinistra è stata spazzata via da connivenze e sospetti: “Le rivelazioni sono state uno choc, persino per un paese più che abituato a scandali simili”. E anche i cittadini capitolini non escono bene dalla descrizione della giornalista: “I romani – scrive la Pianigiani – sono noti per il loro cinismo per quanto riguarda la politica, per la loro rassegnazione di fronte a servizi antiquati e alla burocrazia che si espande a macchia d’olio”.
Conoscendo i romani, però, la disaffezione alla loro orgogliosa città è più legata ai mezzi pubblici che non funzionano, alla “monnezza” per le strade, agli episodi di microcriminalità che ormai si verificano anche in quelli che erano quartieri “bene” della Città Eterna. Basti pensare a Prati, uno dei salotti buoni di Roma, da sempre quartiere di studi professionali e di case prestigiose, che negli ultimi tempi ha conosciuto l’onta della sporcizia per strada, di uno stupro ai danni di una quindicenne e anche l’omicidio di un gioielliere durante una rapina (con il killer che poi si è suicidato in carcere). Per non parlare dell’Esquilino, lo splendido quartiere umbertino accanto alla stazione di Roma Termini, esempio negativo di quello che non deve essere un quartiere multiculturale. La riqualificazione della zona non è mai decollata, le pregevoli architetture tardo ottocentesche sono insozzate da scritte e affissioni abusive. Piazza Vittorio, un tempo sede di uno dei mercati popolari più amati dai romani, oggi ha perso gran parte del suo fascino.

Un altro sintomo di un degrado evidente è che la prostituzione in strada è arrivata a lambire le mura aureliane. Per rendersene conto basta fare un giro a Porta Maggiore, non in una periferia sperduta fuori dal raccordo. Proprio oltre la porta, all’incrocio con via Casilina, staziona un gruppetto di giovanissime ragazze rumene. Vestitissime, stanno ferme lì aspettando i clienti, che poi consumeranno l’atto sessuale oltre la rotta rete di protezione di una aiuola abbandonata da tempo, che costeggia proprio le antiche e un tempo gloriose mura della città. E le tracce del sesso mordi e fuggi restano lì, sotto forma di preservativi usati e di fazzoletti accartocciati. Il New York Times raccoglie le opinioni dei soliti noti, giornalisti e analisti politici che siamo già abituati ad ascoltare tutti i santi giorni in tv. Loro fotografano la situazione, ma si soluzioni neanche a parlarne. Forse perché la soluzione non c’è, in questo momento, per risollevare Roma dalla polvere. “Roma, antica città, ora vecchia realtà, non ti accorgi di me e non sai che pena mi fai”. Era il 1983 quando Antonella Ruggiero, all’epoca voce inconfondibile dei Matia Bazar, gorgheggiava il grido di dolore nei confronti di una città smarrita. Trentadue anni dopo, la situazione è addirittura peggiorata: Roma sembra una vecchia matrona stanca e sfiduciata, imbolsita e gonfia, che passa le giornate a rimirare tristemente allo specchio le sue beltà sfiorite.

La verità è che la gloria dei tempi andati non basta più. Una città di tre milioni di persone non può sopravvivere se non guarda al futuro. E Roma sembra avere la testa attaccata al contrario: sguardo fisso e malinconico su ciò che è stato e non potrà più essere. Ma la retorica passatista non funziona più, in un mondo che da Berlino a Barcellona, da Sydney a Shanghai, da Londra a Parigi, ha ormai scelto un altro tipo di metropoli.

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