Questo Betulla non è un Betulla. Ma Renato Farina, che non fuma la pipa, salta da René Magritte a Jean-Paul Sartre, la prende con filosofia e spiega: “Sartre ha sempre detto di non essere un esistenzialista, ma siccome tutti lo definivano così, alla fine si presentava dicendo ‘io sono l’esistenzialista Sartre’. Ecco, così anch’io”. Sì, Farina tenta di spiegare oggi perché non è più l’agente Betulla, dopo averlo ammesso e perfino rivendicato con un filo di compiacimento. E averci anche scritto un libro, nel 2008, che s’intitola, appunto, Alias Agente Betulla.

È il suo capo al vertice del servizio segreto militare, l’allora direttore del Sismi Nicolò Pollari, a scompaginare le carte, dichiarando ieri a Paolo Liguori, nella trasmissione Fatti e misfatti di Tgcom24, che Renato Farina non è Betulla: “La fonte indicata con il nome Betulla… sono stato autorizzato dal governo a riferire che non è il giornalista Farina, ma è altra persona”. Liguori incassa la notizia e stappa (metaforicamente) bottiglie di champagne.

Ma lui, il povero Betulla-non-più-Betulla, è spiazzato e raggiunto al telefono dal Fatto quotidiano non sa più come cavarsela. “Io lo dicevo letterariamente. Betulla è il nome celtico per dire albero. Ho accettato quella definizione dopo che me l’aveva cucita addosso il Consiglio superiore della magistratura all’unanimità. Ma io non l’ho mai detto davvero. Ha ragione Pollari: io non sono Betulla”.

Poi torna, sornione, al compiacimento: “Certo, negare che io sia Betulla è come negare il sistema Tolemaico e passare di colpo al sistema Copernicano. È una delle poche certezze che avevamo”. Ma mica si può smentire il capo. “Pollari ha ragione. Non ero io. Spero di poterlo dire anche davanti al Copasir” (il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti).

La verità non esiste, è gioco di specchi, nel mondo delle barbe finte, in cui nulla è come appare. Eppure in questo caso tutto sarebbe più semplice. I fatti sono pochi e lineari. Nel 2006, durante l’indagine sul rapimento dell’imam egiziano Abu Omarprelevato nel 2003 a Milano da uomini della Cia e portato in Egitto dove viene per mesi torturato – i magistrati Armando Spataro e Ferdinando Pomarici scoprono che il giornalista Farina Renato collaborava con il Sismi con il nome in codice Betulla, agli ordini di Pio Pompa, funzionario di Pollari che nel suo ufficio di via Nazionale, a Roma, accumulava dossier illegali contro magistrati, politici e giornalisti. In alcune esilaranti intercettazioni, Betulla viene “preparato” da Pompa, che gli fa “ripassare la lezione” prima di una falsa intervista ai due magistrati, fatta per poter poi riferire ai suoi superiori che cosa la procura di Milano sa sul rapimento di Abu Omar. Alla fine, Betulla fa rapporto a Pompa e si pavoneggia: “È stata un’ora di confronto durissimo… Ma io ho retto il colpo…”.

I pm trovano tracce anche di un pagamento di 30mila euro. Farina ammette, pur dicendo che era “un rimborso spese forfettario”. Oggi precisa: “Non era per me o non in funzione di me”. Pollari dice invece espressamente che quei soldi sono stati dati a Betulla, che però non è Farina. Qualcosa non torna. Non tornano neppure i tempi di questo scoop di Liguori. Perché Pollari queste cose le ha già dette in una dichiarazione giurata nel 2010, nota dal 2014: “Farina non è l’agente Betulla e non è mai stato una fonte del Sismi. L’appellativo Betulla riguarda situazioni e soggetti diversi. Betulla dunque non è mai stato il dottor Farina. Ho già chiarito dinanzi al Parlamento sin dall’agosto del 2006 questi fatti”. Tutto ciò all’ombra del segreto di Stato, apposto dai governi Prodi-Berlusconi-Monti-Letta-Renzi, che permette a Pollari di non dire la verità. E a Farina di continuare a fare pasticci.

Il Fatto Quotidiano, 23 agosto 2015

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