Ogni anno, il 3 maggio si celebrano i principi fondamentali della libertà di stampa; per valutare la libertà di stampa in tutto il mondo, per difendere i media dagli attacchi alla loro indipendenza e per rendere omaggio ai giornalisti che hanno perso la vita nell’esercizio della loro professione.

Oltre 100 celebrazioni nazionali si svolgono ogni anno per festeggiare questo giorno.

La giornata internazionale è stata proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1993, a seguito di una raccomandazione adottata in occasione della 26a sessione della Conferenza Generale dell’UNESCO nel 1991.

Questa, a sua volta, è stata una risposta ad un appello di alcuni giornalisti africani che nel 1991 hanno dato vita alla prima Dichiarazione di Windhoek sul pluralismo e l’indipendenza dei media.

In Italia esiste la libertà di stampa?

Si, almeno parzialmente, secondo Freedom on the Net, che però ci colloca, per diversi motivi, tra i casi europei da non seguire.

Eppure, senza scomodare la censura di regimi totalitari, che non possiamo equiparare all’Italia, i giornalisti, i blogger, coloro che fanno informazione sul web e non, sono soggetti in Italia a forme di pressione non visibili  ai più.

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I maggiori attentati alla libertà di informazione in Italia  provengono dalle continue querele (o richieste di risarcimento danni) nei confronti dei giornalisti ‘scomodi’, dalle richieste di rettifica che nascondono la volontà di ‘sterilizzare’ la notizia dai connotati negativi presenti in un articolo, dalle richieste di cancellazione su internet di contenuti per i più disparati motivi: dal diritto d’autore ad un preteso diritto all’oblio che a volte è del tutto inesistente.

Frequenti sono poi le ‘telefonate’ che giungono in redazione dagli inserzionisti di un giornale che invitano ad abbassare i toni su questo e quest’altro argomento, ricordando le cifre spese in pubblicità.

Dal punto di vista pubblico accade invece che gli uffici stampa di questa o di quest’altra istituzione inviino richieste di risposte che sono rettifiche mascherate, anche quando, come ha stabilito in maniera chiara la giurisprudenza, le rettifiche non si possono applicare al web.

Almeno fino ad oggi, parrebbe infatti che il Parlamento sia intenzionato ad estendere l’obbligo di rettifica  ad internet, obbligando le decine di migliaia di blogger italiani a procedere alla rettifica entro 48 ore dalla richiesta di chi dovesse assumere di sentirsi diffamato da ciò che è stato scritto e pubblicato a pena, anche semplicemente in caso di ritardo, di sanzioni pecuniarie che potrebbero arrivare fino a 50 mila euro.

Ci sono poi forme di emarginazione di chi scrive professionalmente e non, adottate attraverso la politica delle ‘veline’ esclusive.

Il Capo ufficio stampa ( o chi per lui), che spesso è stato giornalista a sua volta,  si lamenta per il pezzo di quel giornalista, del blogger, lasciando intendere che in un prossimo futuro la testata potrebbe non essere informata di determinate attività o, all’opposto, ‘premiando’ la ‘collaborazione’ con accorte veline spacciate per esclusive.

Tutto è utile, in forma negativa o positiva, per screditare, agli occhi di una testata, un giornalista.

A farne le spese sono spesso i giornalisti freelance, i blogger, i titolari di piccole testate locali, che non hanno la rete di protezione di una grande testata e che, intimoriti dalla posizione pubblica del richiedente, o dalla prospettiva di subire richieste di risarcimenti ai quali non si potrà far fronte, scelgono alla fine di pubblicare veline e rettifiche a tutto spiano.

Eppure mai migliore massima fu espressa sul lavoro giornalistico quando si è detto che “I giornali devono essere scomodi”, cioè dire la verità anche quando può essere pericoloso, per la propria vita o la carriera.

Cane da guardia della democrazia. Questo è il ruolo che la libera  stampa deve poter  svolgere  in una società democratica, secondo una formula ripetutamente utilizzata, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e non solo.

Molti  desiderano invece che il cane da guardia non morda e sia accorto nell’abbaiare. Insomma, che non disturbi.

La Repubblica tradita

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