Atti al pm per nuove indagini sulla morte di Stefano Cucchi. Che sicuramente “fu picchiato”, anche se non sono state accertate le esatte cause della morte. E le nuove indagini dovranno prendere in considerazione “i carabinieri che hanno avuto in custodia Cucchi dopo la perquisizione domiciliare”. Lo scrivono i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Roma nella motivazione della sentenza, con la quale nell’ottobre scorso sono stati assolti tutti gli imputati tra tre agenti penitenziari, medici e infermieri. Nella motivazione di 67 pagine il presidente Mario Lucio D’Andria, il giudice a latere Agatella Giuffrida insieme con i componenti della giuria popolare sottolineano che “le lesioni subite da Cucchi sono necessariamente collegate a un’azione di percosse e comunque da un’azione volontaria che può essere consistita anche in una semplice spinta che abbia provocato la caduta a terra con l’impatto sia del coccige, sia della testa contro una parete o contro il pavimento”.

In seguito alle proteste della famiglia Cucchi per l’esito del processo d’appello, il Procuratore capo Giuseppe Pignatone aveva promesso che la Procura avrebbe provveduto a “un’attenta rilettura delle carte”. “E’ opportuna la trasmissione della sentenza al Pm perché valuti la possibilità di svolgere nuove indagini per accertare eventuali responsabilità di persone diverse dagli agenti di polizia penitenziaria”, scrivono oggi i giudici.

Dopo un arresto per droga nell’ottobre del 2009, il giovane geometra romano era stato trasferito all’ospedale Sandro Pertini di Roma, dove morì dopo una settimana dal ricovero. Secondo i giudici non ci sono dubbi che qualcuno abbia infierito sul giovane.

Alla Procura ora è affidato il compito di approfondire la posizione di persone diverse dalle tre guardie carcerarie imputate e condannate in primo grado ma poi assolte in appello. E la nuova indagine dovrà necessariamente riguardare anche i carabinieri che ebbero in custodia Cucchi dopo l’arresto al termine di una perquisizione nella sua abitazione. “Non può essere definita una astratta congettura l’ipotesi prospettata in primo grado, secondo cui l’azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che hanno avuto in custodia Cucchi dopo la perquisizione domiciliare”, scrivono i giudici nelle motivazioni. L’ipotesi si fonda su testimonianze secondo cui “già prima di arrivare in tribunale Cucchi aveva segni e disturbi che facevano pensare a un fatto traumatico avvenuto nel corso della notte”.

Rimettendo gli atti alla Procura della Repubblica la Corte dispone che venga valutata “la possibilità di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità di persone diverse dagli agenti di polizia penitenziaria giudicati da questa Corte”.

I giudici non considerano decisive le dichiarazioni di Samura Yaja, il teste gambiano che disse di avere ascoltato ciò che gli appariva un pestaggio mentre si trovava nelle celle di sicurezza del Tribunale di Roma. Per i giudici a questa testimonianza “non può essere attribuito un valore probatorio determinante”. Il teste, che si trovava da solo in una delle celle del tribunale in attesa del giudizio di convalida, disse di aver sentito un ragazzo discutere con gli agenti e poi piangere dopo avere ascoltato quello che appariva un pestaggio con calci.

L’attività di medici e infermieri su Stefano Cucchi, si legge ancora nelle motivazioni, “non è stata di apparente cura del paziente, ma di concreta attenzione nei suoi riguardi”. In merito alla causa della morte, per i giudici “non c’è alcuna certezza” e, conseguentemente, “non è possibile individuare le condotte corrette che gli imputati avrebbero dovuto adottare”. Secondo i giudici, “le quattro diverse ipotesi avanzate al riguardo, da parte dei periti d’ufficio (morte per sindrome da inanizione), dai consulenti del pubblico ministero (morte per insufficienza cardio-circolatoria acuta per brachicardia), delle parti civili (morte per esiti di vescica neurologica) e degli imputati (morte cardiaca improvvisa), tutti esperti di chiara fama – si legge – non hanno fornito una spiegazione esaustiva e convincente del decesso di Stefano Cucchi. Dalla mancanza di certezze, non può che derivare il dubbio sulla sussistenza di un nesso di causalità tra le condotte degli imputati e l’evento”.

Le motivazioni “hanno confermato quello che per noi era già una certezza: la totale estraneità ai fatti degli agenti di polizia penitenziaria”, afferma Diego Perugini, difensore di una delle guardie carcerarie imputata nel processo. “Sia in primo grado che in appello – aggiunge Perugini – sono cadute tutte le contestazioni. Sin dall’inizio avevamo chiesto sia al pm sia alla parte civile che le responsabilità andavano cercate altrove”.

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