Milioni di persone si sono riunite a Parigi per dire no agli assassini, all’integralismo, all’odio e al terrore e per ribadire il comune impegno nella salvaguardia dei diritti di libertà, a partire dal diritto alla libertà di informazione e di satira.
Ci auguriamo che questa sorta di pubblico giuramento collettivo non duri lo spazio di un funerale o di una manifestazione.

Se davvero questi sono valori fondanti e comuni, sarà il caso di “amare ed onorare” il diritto alla critica, anche la più irriverente, tutti i giorni dell’anno e di respingere, sempre e comunque, ogni bavaglio, di qualsiasi natura e colore.

Gli assassini di Parigi, ed i loro alleati razzisti e xenofobi, vogliono lo stato di polizia, la pena di morte, l’inquinamento dei pozzi del dialogo, l’innalzamento dei muri, la fine della società aperta e della libera circolazione delle opinioni e delle persone. Ogni arretramento sul piano delle garanzie sarebbe una folle concessione agli assassini.

Proprio perché diciamo No alle leggi bavaglio, a partire dalla brutta proposta sulla diffamazione, dobbiamo invece dire Sì ad una informazione che “illumini” davvero le periferie del mondo, che faccia capire come molti di coloro che scappano sui barconi fuggano dai mandanti dell’esecuzione di Parigi; come in Siria, in Nigeria, in Somalia nel mirino degli integralisti, ci sono, senza distinzioni, musulmani, cristiani, non credenti, omologati tutti nella categoria degli “Infedeli”. Forse sarà il caso di far sentire che partecipiamo al dolore anche di chi è restato sepolto dalle nostre bombe in guerre folli ed in avventure rovinose, dall’Afghanistan all’Iraq.

In questi giorni, per fare un esempio, sono stati ammazzati due giornalisti in Libia; altri 3 redattori di Al Jazeera, da oltre un anno, sono in carcere in attesa di un processo per “aver diffuso notizie riservate”, cioè per aver fatto il loro dovere. Sono nel mirino di regimi autoritari e degli integralisti che odiano la libertà di informazione e di satira. La loro detenzione deve diventare una ragione di protesta e di solidarietà internazionale, il simbolo dell’impegno contro i bavagli, sempre, comunque dovunque, a prescindere dal colore della pelle, dalla fede, dalle convinzioni dei singoli cronisti perseguitati, incarcerati, minacciati, ammazzati.

Per queste ragioni oggi siamo tutti parigini e vicini a Charlie Hebdo, ma, senza soluzione di continuità, dobbiamo imparare ad essere “Tutti nigeriani”, “Tutti siriani”, “Tutti Somali” e tutti vicini anche ai tre giornalisti di Al Jazeera.

Articolo Precedente

Charlie Hebdo, se il fine giustifica i mezzi: contro il terrorismo la Francia sceglie la censura online

next
Articolo Successivo

Charlie Hebdo: je suis Lillò

next