Toby Barber direttore per l’Europa del Financial Time, accusa Charlie Hebdo, la celebre rivista satirica francese già colpita in passato per la pubblicazione delle vignette su Maometto, di aver peccato di “stupidità editoriale” attaccando l’Islam.

Uno delle centinaia di lettori che hanno commentato su ilfattoquotidiano.it il suddetto pezzo, ha scritto che il Financial Time è infarcito di intellettuali pedanti appesantiti da portafogli ripieni di cash che loro perviene direttamente dal casinò della City & via discorrendo.

Allo stesso lettore esprimiamo una condivisione corroborata dalla nostra esperienza sul campo quando, in qualità di free-lance sulla piazza di Rio de Janeiro, potevamo testimoniare dell’opulenza dei corrispondenti anglosassonici in genere, con particolare ri/ferimento all’allora corrispondente del Financial Time in Brasile, inquilino di una magione degna di un ambasciatore tirato alla grande.

Tornando all’approccio di Mr. Barber esso ci riporta a quello che George Orwell attribuì a quasi tutta la stampa inglese quando si vide rifiutare dall’editore il breve saggio titolato The Freedom of the press (La libertà di stampa) che lo stesso autore intendeva premettere come introduzione alla prima edizione de La Fattoria degli animali. Un romanzo pubblicato nel ’45 dopo non poche difficoltà come quelle frapposte dall’allora ministero dell’Informazione: “La pubblicazione del libro in un momento come questo potrebbe essere considerata un gesto oltremodo incauto. Se la favola (La fattoria degli animali, ndr) si riferisse ai dittatori in genere e alla dittatura in generale sarebbe un bene pubblicarla: ora che però ho capito che la storia – proseguiva il funzionario ministeriale – segue lo sviluppo dei soviet e dei due dittatori russi in modo tanto accurato da risultare applicabile soltanto alla Russia, escludendo le altre dittature (…) sarebbe meno offensivo se la casta degli animali non fosse quella dei maiali. Credo che la scelta dei maiali come classe dirigente offenderà senz’altro molte persone, in particolare quelle un po’ suscettibili, e i russi indubbiamente lo sono”.

Viceversa il saggio col quale Orwell intendeva corredare la celebre favola riuscì a essere pubblicato sul Times Literaly Supplement solo nel 1972, la bellezza di 27 anni dopo, perché conteneva considerazioni come: “L’aspetto sinistro della censura letteraria in Inghilterra è che si tratta di un fenomeno in buona parte spontaneo [perché] è possibile ridurre al silenzio le idee impopolari e tenere nascosti i fatti scomodi senza alcun bisogno di veti ufficiali [nella misura in cui] non stava bene menzionare quei particolari avvenimenti”; “Non che sia precisamente vietato dire questa o quella cosa, però ‘non stava bene’ dirla, proprio come nel periodo vittoriano ‘non stava bene’ menzionare i pantaloni in presenza di una signora”; “Chiunque sfidi l’ortodossia dominante viene ridotto al silenzio con sorprendente efficacia. Le opinioni autenticamente conformiste non trovano quasi mai spazio sulla stampa popolare quanto sulle riviste intellettuali (…) un atteggiamento, per così dire, volontario, poiché non è dovuto all’azione di alcun gruppo di pressione”; “Magari quel che dicevate era vero, ma comunque ‘inopportuno’ e in un modo o nell’altro ‘faceva il gioco’ dei reazionari’; “Sono soltanto, o comunque soprattutto, i membri dell’intelligencija (…) quelli che cominciano a disprezzare, sia in teoria che in pratica, quella libertà su cui proprio loro dovrebbero vigilare”; “E chi sono i nemici della democrazia? A quanto pare non sono coloro che l’attaccano apertamente (…) ma quelli che la mettono ‘oggettivamente’ in pericolo (…). In altre parole, la difesa della democrazia comporta la distruzione di qualunque indipendenza di giudizio”; “La libertà intellettuale è una tradizione profondamente radicata, senza la quale è improbabile che esisterebbe la nostra cultura occidentale”; “So che gli intellettuali britannici hanno molte ragioni per comportarsi con tanta viltà e disonestà; anzi, conosco a memoria le loro giustificazioni. Almeno però piantiamola con le baggianate contro il fascismo. Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuole sentirsi dire”.

Come si vede non c’è niente di nuovo sotto l’umano cielo.

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