Servitù militare, ancora. Per altri 5 anni, un rinnovo quasi d’ufficio per il deposito di Guardia del Moro a Santo Stefano, nell’arcipelago della Maddalena, tra Sardegna e Corsica. Proprio quello da cui sono partite le armi dirette ai curdi in Iraq per la guerra contro l’Isis con una spola effettuata da navi e tir. La servitù sul bunker che custodisce le armi del magnate russo Alexander Zuchov, sequestrate negli anni Novanta, era scaduta a marzo scorso. Più di sei mesi di stallo e silenzio poi, dopo il via libera a missili, fucili e proiettili, la burocratica comunicazione alla Regione Sardegna. E di nuovo si annunciano ricorsi e una battaglia a suon di istanze, una sottile guerra diplomatica tra la giunta Pigliaru e la Difesa in cui la seconda utilizza soprattutto l’arma dell’indifferenza. E, al momento, vince. O meglio: semplicemente non modifica le attività previste, come le esercitazioni militari, e di fatto ribadisce esigenze e rivendica spazi. Nonostante la chiara richiesta di ridimensionamento dei 35mila ettari distribuiti soprattutto tra le tre basi principali: poligono Nato a Capo Frasca, la base di Teulada a sud e il Poligono di Quirra, nella Sardegna sud orientale.

Guardia del moro, fortino inespugnato
Niente da fare, al momento, per i cinque chilometri di tunnel di Guardia del Moro: saranno gestiti dalla Marina, con una riduzione dell’area interdetta a mare. Unica concessione a un progetto alternativo. D’altronde le armi e l’esplosivo richiedono particolari tutele per “l’incolumità”. Il governatore di centrosinistra aveva già espresso la posizione della Regione, parere contrario – come sempre – anche dal Comipa (Comitato misto paritetico sulle servitù militari) e a fine settembre c’era stata la visita istituzionale dei parlamentari sardi: Giampiero Scanu (Pd), Michele Piras (Sel), Manuela Corda (M5S) e Mauro Pili (Unidos). Il rinnovo del vincolo è avvenuto sempre di lustro in lustro su una base costruita negli anni Settanta su terreni privati, ma mai espropriati, a poca distanza dalla base americana della Maddalena, oggi dismessa. Il presidente Pigliaru ha annunciato “un ricorso al presidente del Consiglio Renzi contro questa inattesa decisione”. E contestato il contenuto del decreto: “A differenza di quanto si afferma, questa imposizione non è in alcun modo ‘compatibile con il percorso intrapreso con la Regione e con gli enti territoriali a seguito della seconda conferenza nazionale sulle servitù militari, tenutasi a Roma nel giugno 2014”. E si ricorda che quel documento non è stato mai firmato con buona pace delle decisioni prese a Roma.

I roghi, la gestione extraterritoriale e i ricorsi al Tar
Le frizioni più forti sulla coabitazione forzata tra Regione e ministero della Difesa sono quelle di settembre. Quando, in più occasioni, sono scoppiati alcuni incendi nella base di Capo Frasca, sulla costa occidentale, in seguito alle esercitazioni dei tornado tedeschi. Necessario l’intervento del Corpo forestale in un clima definito “poco collaborativo”. Ecco quindi che la Regione, con un’apposita delibera, aveva esteso le prescrizioni antincendio anche alle basi militari nel periodo più a rischio: tra giugno e ottobre. Vincoli e regole validi per tutta l’isola, ma non lì. E così la Difesa si è direttamente rivolta al Tar, con un’impugnazione dell’avvocatura di Stato. E i giudici amministrativi hanno dato ragione al ministero: “Le attività aeree e terrestri della Difesa nei poligoni sardi non possono essere fermate dalla Regione”. Nemmeno in caso di fiamme. Prossimo appuntamento a inizio novembre quando si esprimerà la Camera di consiglio sulla richiesta cautelare di sospensiva che completa il ricorso. Uno schiaffo alla Regione e a qualsiasi tentativo di collaborazione tra piccoli strappi e carte bollate.

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