L’Europa torna a fare i conti con una crisi tutt’altro che risolta. E la Germania vede avverarsi i suoi timori, registrando la prima frenata dal 2012 con un calo del Prodotto interno lordo peggiore delle attese, complice il rallentamento delle esportazioni e, quindi, degli acquisti da parte dei partner stranieri, mentre la Francia offre l’atteso assist al governo di Matteo Renzi alla prese con la decrescita certificata la settimana scorsa dall’Istat, chiedendo un allentamento dei vincoli di stabilità alla luce del forte rischio recessione che, pur con situazioni macroeconomiche completamente diverse, metterebbe Parigi in una posizione non molto diversa davanti a Bruxelles. Che non potrà non tenere conto del fatto che, a livello complessivo, la “malattia” dei singoli Stati membri sta inevitabilmente contagiando anche chi è in convalescenza o è rimasto in salute, come dimostra la frenata generale del Vecchio Continente e la revisione al ribasso delle stime per l’intero 2014, seppure il saldo sia ancora positivo. 

LA LOCOMOTIVA TEDESCA FRENA PIU’ DEL PREVISTO – I numeri del resto parlano chiaro. Secondo i dati diffusi dall’Istat tedesco, Destatis, il prodotto interno lordo della Germania pur avendo continuato a crescere da inizio anno, nel secondo trimestre ha perso colpi rispetto ai primi 3 mesi del 2014, in confronto ai quali è calato dello 0,2 per cento. Il dato è peggiore delle attese degli analisti, che si aspettavano un calo congiunturale dello 0,1 per cento. “Per la Germania, una delle ragioni del rallentamento è dovuto probabilmente alla stagione molto mite nel periodo invernale, che ha portato a un alto tasso di crescita all’inizio dell’anno e ha marcato una caduta soprattutto nelle costruzioni, specialmente nel secondo trimestre. Inoltre le esportazioni sono cresciute meno delle importazioni, per questo il commercio estero ha avuto un effetto negativo sulla crescita. Ma è cresciuta la domanda interna“, ha commentato un portavoce della Commissione Ue. Concetto ripreso e rafforzato dal ministro dell’Economia tedesco Sigmar Gabriel per il quale “i rischi geopolitici in Europa dell’est e nel Medioriente, e il debole sviluppo nell’eurozona hanno lasciato transitoriamente traccia di una frenata. La tendenza generale congiunturale resta però positiva”.

L’APPELLO DI PARIGI A BRUXELLES – Macchine ferme, invece, a Parigi dove il dato sul Pil del secondo trimestre diffuso dell’Insee ha mostrato una crescita invariata rispetto ai tre mesi precedenti, mentre le attese erano per un incremento dello 0,1 per cento. Il dato invariato rispetto al trimestre precedente segue la crescita zero già registrata nel primo trimestre dell’anno rispetto all’ultimo trimestre del 2013. Da qui la levata di scudi dell’Eliseo. “Meglio assumere quello che è piuttosto che sperare in qualcosa che non succederà”, ha detto a Le Monde il ministro francese delle finanze e dei conti pubblici, Michel Sapin. Che dalle colonne del quotidiano ha fatto sapere a tutta Europa che quest’anno “la crescita del Pil in Francia dovrebbe essere intorno allo 0,5% e niente ci permette di prevedere per il 2015 una crescita molto superiore all’1 per cento. L’inflazione, +0,5% su un anno, è molto più debole del previsto (1%)”. Pertanto il rapporto deficit/pil “sarà superiore al 4% del Pil nel 2014”. La previsione iniziale era del 3,8 per cento. Alla luce di questo andamento verrà compromesso anche l’obiettivo di riportare il disavanzo sotto il tetto del 3% nel 2015. Sapin ha quindi rivolto un appello all’Ue affinché allenti il rigore sui conti, adattando il ritmo del taglio del deficit alla congiuntura economica. Appello anche alla Bce perchè adotti tutte le misure possibili contro lo spettro della deflazione

I CHIAROSCURI DI CIPRO, HELSINKI E LISBONA – Rimbalzo, invece, per il Portogallo che dopo un -0,6% nel primo trimestre dell’anno, a fine giugno ha visto il Pil crescere dello 0,6% su base trimestrale. Nel confronto annuo, poi, il progresso è dello 0,8% (+1,3% nel primo trimestre). Il dato supera le previsioni degli analisti per rispettivamente 0,5% e 0,7 per cento. Arretramento più lento, poi, per Cipro, la cui economia nel periodo si è ridotta ad un ritmo più lento: il prodotto interno lordo dell’isola è sceso dello 0,3 per cento rispetto al primo trimestre, quando si era contratto dello 0,6 per cento. Si tratta della contrazione dell’economia cipriota più lenta dal primo trimestre del 2012. Anno su anno, il Pil è sceso del 2,5 per cento nel secondo trimestre, dopo il calo del 3,9 per cento nei tre mesi precedenti. 

Segnali positivi anche dalla nordica Finlandia, il cui ex primo ministro, il falco Jyrki Katainen, è fresco di nomina a Commissario europeo per gli affari economici e monetari. L’economia di Helsinki è tornata a segnare una crescita dopo essersi contratta nei due trimestri precedenti ed è così uscita dalla recessione tecnica che sta toccando all’Italia. Lo indicano le stime preliminari di Tilastokeskus, l’istituto di statistica finnico. Il Pil è cresciuto dello 0,1%, dato destagionalizzato, rispetto al primo trimestre, quando l’economia del Paese scandinavo aveva perso lo 0,4 per cento. Nel quarto trimestre del 2013 l’economia si era contratta dello 0,3 per cento. Due trimestri consecutivi di calo del Pil configurano una recessione tecnica. Con la modesta crescita del secondo trimestre, l’economia finnica esce dalla recessione. In luglio l’istituto di statistica ha rivisto le serie di dati del Pil per adeguarli alle nuove linee guida Esa 2010 Eu per il calcolo dei dati delle economie nazionali. Anno su anno, il Pil è calato dello 0,1%, corretto per gli effetti di calendario, nel secondo trimestre. Nel periodo l’occupazione è calata dello 0,7% tendenziale e le ore lavorate sono diminuite del 2,8 per cento.

LA SOMMA DELLE PARTI: CRESCITA ZERO PER LA ZONA EURO – Sommando le crescite, le frenate e gli arretramenti, si arriva al dato complessivo: dopo il +0,2% nel primo trimestre, il Pil nell’area euro tra aprile a giugno ha registrato una crescita zero. La certificazione è dell’Eurostat secondo cui il dato dell’Ue a 28 è invece in progresso dello 0,2 per cento. Rispetto al secondo trimestre del 2013, però, il prodotto è in crescita dello 0,7% (+0,9% nel primo) e quello dell’Ue a 28 dell’1,2% (+1,4% nel primo). Tra i fattori di rallentamento c’è sicuramente la situazione italiana con un Pil in calo dello 0,2% (-0,1% nel primo) rispetto al trimestre precedente e dello 0,3% rispetto allo stesso periodo del 2013.

Tagliate, quindi le stime di crescita per l’intero 2014 della Survey of Professional Forecasters pubblicata sul bollettino mensile della Bce. Le attese per l’area euro sono ora di un +1% contro il +1,1% stimato in precedenza dagli esperti di Francoforte. Per il 2015 e il 2016, invece, gli economisti si aspettano sempre una crescita rispettivamente dell’1,5% e dell’1,7 per cento. Per quanto riguarda invece la disoccupazione gli esperti della Bce puntano su un tasso dell’11,6% nel 2014 (contro l’11,8% stimato in precedenza) e su 11,3% nel 2015 (contro l’11,5% stimato in precedenza). Mentre le attese per il 2016 sono di un tasso del 10,8% contro l’11% stimato in precedenza. Riviste al ribasso, poi, le previsioni sull’inflazione. Nell’area dell’euro, infatti, l’inflazione tendenziale dovrebbe crescere nel 2014 a +0,7% contro +0,9% stimato in precedenza e a +1,2% nel 2015 contro +1,3% stimato in precedenza. Per il 2016 gli esperti della Bce puntano poi su una crescita dell’inflazione dell’1,5% come stimato in precedenza.

Diversi partecipanti, rileva ancora Francoforte, “hanno affermato che il punto di minimo dell’inflazione è stato più o meno raggiunto e si aspettano per i prossimi anni una tendenza al rialzo in virtù della ripresa dell’attività economica reale e del venir meno dell’impatto ribassista degli eventi che hanno interessato in precedenza il petrolio, i beni alimentari e i tassi di cambio”. Inoltre, aspettative di inflazione stabili e la crescita dei salari, ancorché moderata, “dovrebbero impedire all’inflazione di scendere ulteriormente”. I principali fattori alla base delle revisioni al ribasso rispetto all’indagine precedente, osserva la Bce, “sono stati i dati effettivi sull’inflazione inferiori alle attese, il contesto generalmente disinflazionistico e il persistente impatto ritardato dei precedenti andamenti dei tassi di cambio e dei prezzi delle materie prime, nonché prospettive dell’economia reale leggermente meno favorevoli”. 

LA BCE NON ASCOLTA PARIGI (E ROMA): “AVANTI CON RIFORME E CONTI IN ORDINE”- “L’attuale aggiustamento nell’Eurozona è una storia di profondo cambiamento strutturale. Ci sono fondamenta sane perché la ripresa vada avanti. Sviluppi di situazioni all’estero possono accrescere l’incertezza, ma le nostra fondamenta restano intatte”, è la voce di ottimismo arrivata da un portavoce della Commissione. Francoforte, dal canto suo, ha  ribadito che la ripresa dell’economia nell’eurozona continua a essere “moderata e disomogenea, in un contesto di bassa inflazione e modesta dinamica della moneta e del credito” e che le riforme strutturali insufficienti nei singoli Paesi costituiscono “un altro rischio al ribasso” per le prospettive economiche. In prospettiva, si legge nel bollettino della Bce, la domanda interna dovrebbe essere sostenuta da una serie di fattori, tra cui “l’orientamento accomodante della politica monetaria e i miglioramenti in atto nelle condizioni finanziarie”. Inoltre “i progressi compiuti sul fronte del risanamento dei conti pubblici e delle riforme strutturali, nonché gli incrementi del reddito disponibile reale dovrebbero fornire un contributo positivo alla crescita economica”.

Risposta indiretta anche a Parigi cui Draghi manda a dire che “le riforme strutturali dovrebbero mirare innanzitutto a promuovere gli investimenti e la creazione di posti di lavoro” e i Paesi dell’eurozona dovrebbero “procedere in linea con il Patto di stabilità e crescita senza vanificare i progressi conseguiti”, risanando i bilanci “in modo da favorire l’espansione economica”. Quindi invece di un allentamento, più sforzi per le riforme e conti in ordine per “ridurre gli elevati rapporti debito-pil”. Per l’Eurotower, infatti, “la piena e coerente applicazione dell’attuale quadro di sorveglianza macroeconomica e dei conti pubblici dell’area dell’euro è indispensabile per ridurre gli elevati rapporti debito-pil, aumentare la crescita potenziale e rafforzare la capacità di tenuta dell’area agli shock”.

LO SPAURACCHIO DELLE “MISURE NON CONVENZIONALI” –  Non poteva mancare, infine, lo spauracchio delle “misure non convenzionali” che la Bce di Draghi agita da diverso tempo. “Il Consiglio direttivo è unanime nel suo impegno a ricorrere anche a strumenti non convenzionali nel quadro del proprio mandato qualora si rendesse ancora necessario affrontare rischi connessi con un periodo di bassa inflazione eccessivamente prolungato”, ha ribadito Francoforte. E ha ricordato che “le aspettative di inflazione a medio-lungo termine per l’area continuano a essere saldamente ancorate in linea con l’obiettivo del Consiglio direttivo di mantenere i tassi di inflazione su livelli inferiori ma prossimi al 2 per cento. Le misure di politica monetaria decise agli inizi di giugno hanno determinato un allentamento dell’orientamento di politica monetaria, che risulta coerente con le indicazioni prospettiche (forward guidance) del Consiglio direttivo e riflette in modo adeguato le prospettive economiche dell’area dell’euro, nonché le differenze tra le principali economie avanzate in termini di ciclo di politica monetaria”.

Quanto alle operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (Omrlt) “che saranno condotte nei mesi a venire accentueranno l’intonazione accomodante della politica monetaria. Tali operazioni – si legge ancora nel bollettino – offriranno, a termini e condizioni interessanti, finanziamenti di lungo periodo con una scadenza massima di quattro anni a tutte le banche che rispettino i valori di riferimento applicabili nell’attività di prestito all’economia reale”. L’iniziativa, si aggiunge, “dovrebbe contribuire ad allentare ulteriormente le condizioni di finanziamento e a stimolare l’erogazione del credito all’economia reale. Via via che si trasmettono all’economia, tali misure concorreranno a riportare i tassi di inflazione in prossimità del 2 per cento”.

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