Una struttura da restaurare, ma nessun fondo nelle casse comunali. L’appello è partito timidamente online: il Comune di Berceto cercava un aiuto per recuperare l’ex fornace Marchino di Ghiare. E poi la sorpresa. Hanno risposto ottanta giovani aspiranti architetti e ingegneri di tutta Italia che sono arrivati sull’Appennino parmense per aiutare a salvare un pezzo della sua storia. Per cinque giorni gli studenti di diverse università del nord Italia hanno partecipato al workshop-cantiere “Recuperiamo la fornace”, mettendosi alla prova per riqualificare e restaurare l’edificio industriale del primo Novecento che si trova nella frazione alle porte del comune montano. Il progetto, praticamente a costo zero, è nato pochi mesi fa dal team di professionisti che da qualche anno coordina il recupero dell’edificio, e che di fronte alla mancanza di risorse, ha pensato a un modo per proseguire i lavori offrendo ai giovani di fare “teoria e pratica” su un cantiere di così grande rilievo.

Prima del 2010 l’ex cementificio era in parte crollato e rischiava di finire in un mucchio di macerie. “Sarebbe stata una perdita per Ghiare, ma anche per tutta la vallata, che avrebbe visto cancellata una parte importante delle sue origini” spiega il sindaco di Berceto Luigi Lucchi. L’ex fornace infatti è l’unico esempio di archeologia industriale della zona. Costruita nel 1911 dalla società Marchino di Casale Monferrato, nel passato ha dato lavoro fino a 5mila persone, fino alla cessazione della produzione nel 1932 e all’abbandono definitivo una ventina di anni fa. Così nel 2010 Lucchi con il Comune di Berceto ha avviato una trattativa con i privati per la riqualificazione del complesso, che ora è patrimonio comunale. Con fondi europei, regionali, provinciali e del Comune è stato avviato l’iter di recupero insieme alla Provincia e con la supervisione della Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici, che ha portato alla messa in sicurezza e ai primi stralci di restauro dell’edificio.

Di fronte al ridursi delle risorse disponibili a continuare l’opera però, la squadra al lavoro non si è data per vinta e ha promosso l’idea del workshop per provare coinvolgere nel progetto i giovani. “Abbiamo lanciato un appello in rete, chiesto ai nostri studenti ed ex studenti di partecipare” spiega l’ingegnere Francesco Fulvi, che guida il pool di progettisti con il coordinamento scientifico dell’architetto Roberto Bruni, che insieme a lui ha seguito il workshop con gli architetti Elisa Adorni e Giulia D’Ambrosio. Nel giro di due mesi, il passaparola ha funzionato: le richieste sono fioccate e alla fine la squadra formata da 80 studenti provenienti dagli atenei di Torino, Bologna, Parma e Milano sono arrivati a Ghiare di Berceto armati di tanta buona volontà e voglia di imparare.

L’iniziativa non ha richiesto finanziamenti: “Gli studenti hanno versato una quota di 50 euro per i pasti e per l’assicurazione – spiega Fulvi – Grazie a due sponsor privati siamo riusciti ad avere 700 euro per l’acquisto dei materiali e per il rimborso della Protezione civile che ci ha fornito un container per l’acqua delle docce”. Un’operazione a costo zero, messa in piedi grazie all’aiuto del Comune di Berceto, della proloco di Ghiare e dei volontari, che hanno messo a disposizione scuola e oratorio per ospitare i ragazzi e hanno preparato pasti e colazione per tutti. In cambio, gli studenti hanno offerto la propria mano d’opera, impegnandosi nei compiti predisposti, dalla “stonacatura” delle gigantesche colonne (con martello e scalpello) alla demolizione di parapetti e solai, permettendo di completare la prima fase di riqualificazione locali dell’ex cementificio. Tanta pratica, ma anche teoria, con lezioni tenute tutti i giorni dai professionisti a capo del progetto, molti dei quali docenti, ma anche da rappresentanti della Soprintendenza, che ha supervisionato tutta l’iniziativa spiegando agli studenti come muoversi nel cantiere e come intervenire sull’opera. “Tutti i ragazzi partecipanti hanno dimostrato notevole impegno e grandissimo valore – ha sottolineato Fulvi – a loro che hanno creduto nel progetto va il mio personale grazie”.

Il successo dell’esperimento pone le basi anche per un suo proseguimento in futuro. La formula del passaparola in due mesi ha portato a quasi un centinaio di iscritti, ma pensandola meglio e per tempo potrebbe essere estesa ad altre facoltà come Beni culturali e anche ad altri edifici e monumenti pubblici, magari strutturandola con un’offerta teorica e pratica più vasta su progetti pluriennali, cercando altri sponsor per il costo dei materiali. “Gli studenti imparano e si mettono alla prova, e inoltre possono chiedere alle università il riconoscimento dei crediti formativi per il lavoro portato a termine – aggiunge Fulvi – Se ci fosse la volontà di provare e di sfruttare le sinergie, come abbiamo potuto fare noi, questo modello vincente potrebbe essere esportato anche altrove”.

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