“Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, dopo un’approfondita istruttoria e un confronto che ha visto coinvolte tutte le categorie interessate, ha firmato il decreto ministeriale che aggiorna per il prossimo triennio il compenso  per la riproduzione privata  di fonogrammi e di videogrammi previsto dalla legge sul diritto d’autore”. Inizia così il comunicato stampa del Ministero dei beni e delle attività culturali con il quale lo scorso 20 giugno si è annunciata la firma del decreto con il quale Dario Franceschini ha disposto importanti aumenti delle tariffe del cosiddetto equo compenso per copia privata, chiudendo – almeno per il momento e salve le già annunciate impugnazioni – una vicenda al centro di un ampio ed acceso dibattito.

A prescindere da ogni questione di merito e dal punto di vista di ciascuno, 12 giorni dopo l’annuncio della firma del decreto, il testo del provvedimento – il cui contenuto è, ormai da settimane, snocciolato sul sito della Siae – non è stato ancora pubblicato sul sito internet istituzionale del Ministero dei Beni e delle Attività culturali. E’ un ritardo alquanto sospetto. Normalmente quando un ministro firma un decreto ne cristallizza il contenuto e la forma che deve, naturalmente, già essere passato al vaglio dei competenti uffici del proprio dicastero per tutti i controlli di rito.

E’, quindi, inspiegabile e inevitabilmente sospetto il ritardo con il quale il Ministero dei Beni e delle Attività culturali sta procedendo alla pubblicazione del decreto. E’ fuor di dubbio che nessuno può modificare un decreto ministeriale, firmato da un ministro della Repubblica e, quindi, un suo atto amministrativo. Ma, allora, chi sta facendo cosa con il testo del Decreto? E, soprattutto, perché?

Non c’è ipotesi che non risulti, per qualche ragione, preoccupante ed inquietante. Il 20 giugno, si è dato l’annuncio di una firma non ancora apposta sul testo del Decreto? Perché? Quale era la fretta di annunciare il varo di un provvedimento non ancora definito? Si voleva, in qualche modo, misurare la reazione delle categorie interessate? Si tratterebbe, naturalmente, di un modus operandi che avrebbe davvero poco a che vedere con le regole di buona amministrazione e di gestione della cosa pubblica.

E se, invece, il 20 giugno il Decreto è stato davvero firmato, perché non è stato ancora pubblicato? Qualcuno ci sta rimettendo le mani alla luce delle annunciate impugnazioni e delle tante critiche sollevate dagli addetti ai lavori? Sarebbe un fatto di inaudita gravità. Siamo, davanti, all’ennesima brutto episodio in un’interminabile brutta storia italiana. E pensare che il testo del Decreto “ingresso nei musei”, firmato il 27 giugno, il 30 giugno era già stato pubblicato sia sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica che sul sito internet del Ministero. Curioso davvero che un provvedimento, firmato una settimana prima e con alle spalle mesi di istruttoria, invece, non sia ancora accessibile al pubblico in nessuna forma.

Se almeno, il Ministro, avesse twittato una foto della firma del Decreto, come ha fatto – anche se per la verità in una versione priva di data – per il Decreto sul tax credit, oggi, almeno, non avremmo dubbi circa il fatto che anche il Decreto sull’equo compenso sia stato davvero firmato.

 

Quale che sia la ragione, a quasi due settimane dalla firma del decreto, sarebbe opportuno – per non dire doveroso – che il Ministero pubblicasse il testo del decreto o, almeno, spiegasse cosa impedisce la pubblicazione di un decreto firmato il 20 giugno mentre non ha impedito la pubblicazione di un analogo provvedimento firmato il 27 giugno dallo stesso ministro.

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