Dire “vi ascolto” significa davvero “ascoltare”? Pronunciare quelle parole in sé, corrisponde veramente al comportamento che esse annunciano? Domanda retorica, ma non banale, soprattutto se confrontata con i fatti.

Sono secoli che ne sentiamo (solo) parlare. Sono più di tre mesi che Renzi va confermando quello che aveva annunciato a più riprese nella doppia sfida per le primarie: “Gli insegnanti sono stati sostanzialmente messi ai margini, anche dal nostro partito. Abbiamo permesso che si facessero riforme sulla scuola senza coinvolgere chi vive la scuola tutti i giorni. Si tratta di un errore strategico: abbiamo fatto le riforme della scuola sulla testa di chi vive la scuola, generando frustrazione e respingendo la speranza di chi voleva e poteva darci una mano (…). Chiameremo il Governo, il Ministro, i suoi collaboratori a confrontarsisulle proposte e sulle idee. E daremo risposte alle proposte degli insegnanti, non lasciandoli soli a subire le riforme, ma chiedendo loro di collaborare a costruire il domani della scuola”. La giornata di ascolto della scuola organizzata dal Pd subito dopo l’insediamento di Renzi non è stata altro che un rituale autocelebrativo, privo di seguito e di sviluppi, privo di ascolto vero: quello delle voci fuori dal coro.

Insomma: le parole sono tante. Le poche idee (peraltro riciclate dai soliti mantra europei), come abbiamo visto, non proprio entusiasmanti.

L’occasione di passare dalle parole ai fatti esiste. Come esiste una proposta legge, la Lip, Legge di Iniziativa Popolare per una buona scuola per la Repubblica, che ha avuto un lunghissimo periodo di ideazione – perché frutto di reali ascolti e scambi -, essendo stata condivisa da centinaia di docenti, studenti e genitori. Fu depositata presso la Camera dei deputati il 4 agosto 2006, sostenuta da 100.000 firme e da 120 comitati di base locali. Fu incardinata con il n. 1600 nella XV legislatura. La VII commissione ne iniziò la discussione ad aprile 2007. La crisi di governo del gennaio 2008 e l’opposizione di Pd e Pdl al provvedimento ne interruppero l’iter. Nella XVI legislatura fu calendarizzata, ma non fu mai discussa né considerata ai fini dell’emanazione della Legge Gelmini. Dopo due legislature le leggi popolari decadono.

Si tratta – invece – di un testo molto interessante, su cui il partito di maggioranza di un governo che continua a sostenere di voler “mettere la scuola al centro” della propria agenda politica dovrebbe quanto meno interrogarsi. E ringraziare migliaia di cittadine e cittadine che ne hanno mediato la stesura definitiva, i tantissimi che si sono impegnati per la raccolta delle firme, quanti hanno partecipato a vario titolo a quel momento di grande competenza, passione e mobilitazione della società civile in difesa della scuola pubblica.

Quella legge è ancora valida ed attuale, avendo come riferimento imprescindibile la nostra Carta Costituzionale: è pluralistica, laica, finalizzata alla valorizzazione della persona, alla rimozione degli ostacoli economici, sociali, culturali e di genere che limitano libertà e uguaglianza, con un’attenzione costante all’interazione interculturale. Disegna una scuola che abbia come finalità l’acquisizione consapevole dei saperi, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, anche tramite attività laboratoriali e lavoro cooperativo. Prevede lo stanziamento del 6% del Pil (come nella media europea), a fronte del quale elabora alcune proposte: l’obbligatorietà dell’ultimo anno di scuola dell’infanzia (al contrario dell’anticipo della scuola primaria a 5 anni introdotto dalla Moratti e che oggi la Giannini pare voler rendere obbligatorio). L’estensione dell’obbligo a 18 anni.  Classi di 22 alunni, il ripristino e l’estensione del modulo e del tempo pieno nella scuola elementare e prolungato nella media. Perché per fare una buona scuola, per avere attenzione vera per tutti, per applicare una didattica improntata sul lavoro di gruppo e sulla sperimentazione, è necessario tempo ed un numero gestibile di allievi. Dotazioni organiche aggiuntive stabili e adeguate per il sostegno, l’alfabetizzazione, l’integrazione, la lotta alla dispersione e al disagio.

Quella legge, si diceva, è ancora attuale. I proponenti hanno lanciato dal mese di marzo la campagna “Adotta la Lip”, costruendo un sito dove la legge può essere conosciuta e, se condivisa,  adottata, scegliendone e colorandone una parola: la nuova scuola sta prendendo vita, colorandosi. Ma non è più possibile ripresentare quella proposta come “legge di iniziativa popolare”. Per questo giovedì prossimo, il 12 giugno, presso la sala stampa di Montecitorio un comitato di coloro che hanno partecipato all’elaborazione e delle associazioni che la sostengono lancerà un appello ai parlamentari, affinché adottino anche loro la legge, proponendola a ripresentandola a proprio nome.

Ecco tutto, senza tanti annunci demagogici: contenuti, proposte, ascolto, mediazione, inclusione, laicità, diritti, sapere emancipante. Sta tutto lì. Così è abituata a fare la gente che alla scuola crede davvero. 

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