È il momento di capire da che parte stanno i poliziotti. Non solo quelli che hanno applaudito per cinque minuti tre colleghi. Tutti i poliziotti. Perché il Sap è uno dei maggiori sindacati e perché l’episodio della standing ovation a fine congresso non è isolato in questo circuito, anzi cortocircuito, di appoggio incondizionato, di ‘spirito di appartenenza’, come lo definì il vicequestore Fournier parlando della ‘macelleria messicana’ della Diaz.

I poliziotti, e i loro colleghi delegati al congresso del Sap, sanno cosa vuol dire applaudire. Applaudire è approvare, complimentarsi. Anche ammirare, prendere a esempio. Ora, se i delegati di uno dei maggiori sindacati di polizia prendono a modello, ammirano, quattro persone pregiudicate per la morte di un diciottenne c’è qualcosa che non va. Quei loro colleghi acclamati per cinque minuti sono stati definiti da un procuratore generale in Cassazione “schegge impazzite” e che secondo i supremi giudici hanno posto in essere un’azione “sproporzionatamente violenta e repressiva”, sferrando “numerosi colpi contro Aldrovandi, noncuranti delle sue invocazioni di aiuto” e proseguendo “anche quando il ragazzo era stato fisicamente sopraffatto e quindi reso certamente inoffensivo”.

E quei cinque minuti, si diceva, non sono una parentesi aperta e chiusa in quel di Rimini. E la famiglia Aldrovandi lo sa. Delle iniziative del Coisp sanno tutti. Non tutti sanno che prima ancora dell’inizio del processo Aldrovandi, nel luglio 2007, i sindacati Sap, Siulp, Fsp, Siap, Coisp raccolsero 233 firme di poliziotti della questura di Ferrara a sostegno dei quattro colleghi.

Forti di quel numero scrissero una lettera all’allora ministro dell’Interno Amato, che si era augurato un processo per scoprire la verità sulla morte di Federico. Nella lettera espressero “la nostra grande amarezza” perché “da circa due anni la Polizia di Stato viene processata non nelle aule dei tribunali, bensì nel circuito mediatico che a quanto pare ha già provveduto ad emettere una sentenza irrevocabile di condanna”. Si ricorda che non era ancora stata fissata l’udienza preliminare.

Prima ancora, nel febbraio 2006, Gianni Tonelli – l’odierno presidente nazionale del Sap – organizzò nella sala ovale della questura di Ferrara una conferenza stampa. I quattro agenti non erano nemmeno indagati e la versione ufficiale di procura e questura parlava di atti di autolesionismo prima e di overdose poi. Parlò di “processo di piazza destinato per sua natura a condannarci prima ancora che potesse iniziare”, di una “società che non ci merita e non merita il sacrificio delle vite dei nostri colleghi” e di “sciacallaggio con sfumature politiche ideologiche e culturali”.
Nel febbraio 2009 arriva l’Fsp-Ugl che scrive all’on. Mantovano per lamentare un processo “che difficilmente in altre ragioni di Italia avrebbe avuto luogo”, avviato in “mancanza di qualsiasi prova”.

Veniamo ai nostri giorni. Leggo la bacheca facebook del Sap di Ferrara e gli iscritti si ritengono offesi dal capo della polizia Pansa che ha definito “cretino” il collega di Roma che ha calpestato un manifestante a terra e inerme durante le manifestazioni del 12 aprile.

Ecco perché chiedo ai poliziotti di spiegarci da che parte stanno, cosa pensano loro stessi della propria funzione.
Quello che prevede l’ordinamento lo sappiamo.

Il Codice Etico europeo della Polizie all’articolo 40 impone alla polizia di “compiere le proprie funzioni in modo equo, guidata, in particolare, dai principi di imparzialità e non discriminazione”, Per imparzialità si intende “che la polizia agisca con integrità e nell’intento di evitare di prendere posizione nei conflitti oggetto di indagine. In caso di reato, la polizia non deve prendere posizione riguardo alle imputazioni di colpevolezza. Inoltre, l’imparzialità richiede che il personale della polizia si astenga da qualsiasi attività esterna alla polizia che possa interferire con l’esecuzione imparziale delle di polizia o funzioni che possa dare l’impressione al pubblico che questo avvenga”. L’art. 7 dello stesso Codice prescrive, inoltre, che “la polizia non deve sollevare obiezioni nei confronti di legittime sentenze o ordinanze giudiziarie”.

Il Sap chiede invece la revisione del processo. C’è qualcosa che non va.

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