ActionAid contro l’azienda italiana Tampieri Financial Group Spa. “Novemila persone – denuncia la ong impegnata nella lotta alla povertà – appartenenti a 37 villaggi nella regione di Ndiaël, in Senegal, sono messe in ginocchio da un progetto agroalimentare che vede come capofila l’azienda italiana, una grande holding familiare con sede a Ravenna e produttrice di olio alimentare e di biocombustibile”. Secondo l’organizzazione è a rischio anche l’ecosistema locale perché “la coltivazione richiede molta acqua, che sarà prelevata in parte dal lago di Guiers, un bacino idrico fondamentale per un Paese che sta lottando contro la desertificazione”. ActionAid ha pubblicato un report che ricostruisce la vicenda e ha lanciato una petizione indirizzata proprio all’amministratore delegato della ditta, Giovanni Tampieri, per interrompere l’attività. L’azienda, contattata da ilfattoquotidiano.it, fa sapere che “il progetto cercherà di rendere minimi i danni”.

Questo è solo uno dei tanti casi – secondo la ong – di land grabbing in Africa (letteralmente accaparramento della terra), un fenomeno aumentato con la crisi finanziaria, con la crescita dei prezzi dei prodotti alimentari, di cui sono protagoniste numerose aziende europee, anche, appunto, italiane. Si parla di ditte che vanno nel sud del mondo, acquistano enormi quantità di terreno, dove spesso abitano comunità locali, per ottenere prodotti alimentari o biocombustibili che verranno esportati, costringendo le popolazioni (povere) a importare cibo dall’estero a prezzi più elevati. 

La storia della Tampieri Srl incomincia a intrecciarsi con quella del Senegal a partire dal 2010, quando la ditta senegalese Senéthanol ottenne la concessione dal Consiglio Rurale di Fanaye, nel nord del Paese, per la coltivazione di 20mila ettari di terreno (200 chilometri quadrati). Nel 2011 entra nell’investimento anche la Tampieri Financial Group come socio di maggioranza della Senhuile SA che vede la partecipazione anche della Senéthanol. Il progetto incontra sin da subito la resistenza delle comunità locali, organizzate nel Collettivo per la difesa delle terre di Fanaye. Ci sono manifestazioni, scontri, e nel 2011 rimangono uccise due persone. L’allora presidente del Senegal, Abdoulaye Wade, annulla la concessione poi, pochi mesi dopo, ci ripensa e vara due decreti. Con il primo – mai reso pubblico- rimuove i vincoli ambientali esistenti sui 26.550 ettari della riserva dello Ndiaël, vicino Fanaye, declassandolo da demanio nazionale a pubblico interesse, e con il secondo dà in concessione 20mila ettari di quei 26mila alla Senéthanol.

Quella riserva, tuttavia, era di fondamentale importanza per ben 37 villaggi. Sono comunità che vivono di pastorizia: usavano le terre per portare a pascolo il bestiame e le attraversavano per raggiungere la più importante risorsa idrica della zona, il lago del Guiers. Con l’avvio dei lavori di disboscamento e coltivazione, l’area è sorvegliata da guardie di sicurezza che impediscono l’accesso alla popolazione, che quindi è costretta ad allungare i tempi di approvvigionamento di legna e acqua. Inoltre la terra a disposizione delle comunità si è enormemente ridotta. Questo, secondo la ong, renderà impossibile far fronte al soddisfacimento dei bisogni primari, dal momento che, non avendo più aree di pascolo le popolazioni saranno costrette a vendere (o svendere) il proprio bestiame. E questo in un quadro già di emergenza alimentare e povertà in cui si trova il Senegal.

Le operazioni di pulizia dei terreni hanno causato anche la distruzione di luoghi di culto e cimiteri, provocando conflittualità nell’area. Oltre agli impatti sociali, si parla poi di crisi ambientale. Nonostante la scarsità idrica della regione, la Senhuile-Senéthanol ha ottenuto i permessi per prelevare l’acqua dal lago, senza una valutazione di impatto ambientale. Per non parlare dell’alto livello di inquinamento e di salinizzazione che produrrebbe l’attività. Dalla Tampieri fanno sapere che il progetto cercherà di rendere minimi i danni. “E’ prevista la costruzione di canali che portino acqua sia alle terre coltivate sia ai villaggi – spiega Giovanni Tampieri a ilfattoquotidiano.it – Questo per arrecare minor fastidio possibile alle circa 1200 persone che abitano nelle zone limitrofe. Nello scorso mese di gennaio è stato sottoscritto un protocollo d’accordo tra l’azienda Senhuile e il collettivo dei villaggi della Comunità rurale di Ngnith, nel quale le parti si impegnano ad operare per una coabitazione pacifica e una franca collaborazione”.

Il Collettivo per la difesa della terra di Fanaye da sempre contesta soprattutto la dimensione dell’investimento (20mila ettari) e ne chiede almeno il dimezzamento. Nell’aprile 2012, il nuovo presidente senegalese, Macky Sall, ha deciso di annullare il decreto che dava in concessione i terreni alla Senuihuile-Senéthanol. Anche lui, però, come il suo precedessore, pochi mesi dopo ci ripensa. “Le concessioni, come tutte quelle rilasciate in territorio senegalese – spiega Tampieri – sono state sospese dal nuovo Presidente della Repubblica dopo le elezioni per ulteriori approfondimenti. A seguito delle verifiche attuate, il progetto è stato reputato meritevole della sua prosecuzione, quindi le sospensioni sono state revocate”.

Secondo ActionAid tuttavia le condizioni delle popolazioni sono peggiorate sin dall’inizio dei lavori. “L’investimento della Senhuile-Senéthanol causerà un consumo insostenibile delle scarse risorse idriche e della produttività di quei terreni – denuncia la ong- Non solo. Ciò che sarà prodotto, verrà in buona parte esportato nei mercati europei e non servirà a soddisfare i bisogni delle comunità locali, compromettendo così il modello di agricoltura e allevamento su cui le popolazioni locali basano il loro sostentamento”.

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