C’è da scommettere che Marco Patuano ce la metterà tutta per far passare il suo piano industriale alla prossima assemblea di Telecom Italia del prossimo 16 aprile. Spera di vincere su Marco Fossati, l’azionista attivista che, con la sua Findim, sta portando in giro per il mondo un piano alternativo il cui primo punto è “un consiglio democratico e indipendente”. Del resto per Patuano in ballo c’è il ricco stipendio da amministratore delegato di Telecom: poco più di un milione di euro lordi nonostante il manager abbia mancato ben tre dei sei obiettivi da raggiungere nell’esercizio appena concluso.

C’è da dire che il compenso dell’ad non è stata la più alta remunerazione del 2013 in casa Telecom: l’ex presidente Franco Bernabé, come si legge nella relazione annuale sulla remunerazione dei vertici del gruppo, ha intascato 8,258 milioni di cui 5,638 milioni come buonuscita con patto di non concorrenza. Escludendo Bernabé, l’intero consiglio di amministrazione di Telecom è costato 4 milioni di euro alla società. Non certo noccioline per un gruppo che ha archiviato l’esercizio in perdita per 674 milioni ed è appesantito da un debito di 26,8 miliardi. Così c’è da scommettere sin da ora che il tema delle remunerazioni dei manager tornerà a far discutere nel corso dell’imminente assemblea Telecom.

Intanto in queste ore a tenere banco è l’aggressivo piano messo a punto da Fossati, assieme all’Asati di Franco Lombardi e al manager pubblico-privato Vito Gamberale, che hanno passato in rassegna i punti di forza e di debolezza di Telecom. Nella telefonia fissa, ad esempio, Fossati parte dall’idea che Telecom è ottimamente posizionata vista “ la mancanza di network alternativi”. Per questo il suo piano suggerisce di sviluppare “il Fiber to the home (fibra fino a casa, ndr) solo dove la domanda e la densità lo permetta” e di entrare in sfrenata concorrenza con Fastweb su piazze ricche come quella di Milano. Poi, nelle idee di Fossati, progressivamente e grazie ad alleanze con operatori già presenti sul territorio che hanno la fibra, come la Metroweb controllata da Cdp e dal fondo F2i di Gamberale, Telecom dovrà avviare la progressiva migrazione verso la fibra fino in casa.

A patto, naturalmente, che si tratti di un’opzione remunerativa. Per Fossati questo tipo di strategia è percorribile dal momento che “il network di Telecom è una infrastruttura strategica per l’Italia dove non c’è competizione via cavo e un limitato sviluppo della tecnologia Fiber to the home”. Findim raccomanda, quindi, a Telecom di investire per l’espansione della fibra fra 1,5 e 2 miliardi in più rispetto a quelli indicati dall’attuale management (1,7 fra il 2014 e il 2016). Nella telefonia mobile, invece, Fossati lascia intuire che ci sia spazio per un consolidamento in cui potrebbe avere un ruolo chiave il finanziere Vincent Bolloré, socio di Mediobanca e azionista di Vivendi, gruppo cui fa capo la brasiliana Gvt e la francese Sfr. “Più del 60% del mercato europeo si è consolidato in quattro grandi gruppi” con Telecom Italia che “rischia di perdere le opportunità che vengono dal consolidamento”. Fossati suggerisce di guardarsi intorno: “Esplorare e adottare modelli di partnership nell’idea di guadagnare dal consolidamento”. Magari in Francia fra gli operatori indipendenti Bouygues, Sfr (Vivendi) o Iliad (Free) o fra i gruppi più piccoli come Telia Group, Polkomtel, P4, Tele2, Belgacom, Oi, Elisa, Zon. Quanto a Tim Brasil, che Fossati sarebbe disposto a vendere solo ad una adeguata valutazione (20 miliardi è stato l’ultimo prezzo indicato dal socio Telecom, ndr), il piano suggerisce una partnership con Oi o Gvt che “essendo interamente controllata da Vivendi esclude conflitti di interesse con Telecom Italia in Brasile o altrove”.

Per finire Fossati, che nel campo Itc suggerisce di stringere nuove alleanze internazionali, propone di andare avanti con le dismissioni. Fra queste le torri di trasmissione in Italia e in Brasile e il patrimonio immobiliare del gruppo. “Telecom ha effettuato delle vendite con accordi di affitto per la maggior parte dei propri edifici nel 2002 con Pirelli Re e Morgan Stanley e nel 2006 con Pirelli Re che limitano l’obiettivo di Telecom Italia di una simile razionalizzazione – spiega il piano –. Sappiamo che Telecom Italia ha ancora un patrimonio immobiliare relativamente ampio di uffici e locali tecnici che possono essere monetizzati attraverso meccanismi di vendita e riaffitto successivo. Ma la società non ha mai pubblicato i dettagli relativi al proprio patrimonio nel real estate”. Dettaglio non da poco per un gruppo che è alle prese con l’abbattimento del proprio debito.

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