Rinviata a data da destinarsi, col rischio che la fine della legislatura la cancelli definitivamente. La proposta di legge popolare per abolire i vitalizi dei consiglieri regionali emiliano romagnoli già a partire da questo mandato potrebbe non essere mai approvata. Tanto che per i 33 eletti che a gennaio 2013 scelsero di non rinunciare volontariamente all’emolumento a vita, previsto per i membri dell’Assemblea regionale una volta compiuti i 60 anni, l’indennità potrebbe scattare regolarmente alla fine della legislatura.

Come previsto dal regolamento regionale, infatti, la proposta di legge, nata da una raccolta firme promossa a giugno 2013 dal Movimento 5 Stelle e approvata dalla Consulta di garanzia, era finita sul tavolo della commissione Bilancio, affari generali e istituzionali, che avrebbe dovuto calendarizzarla, elaborarla e poi portarla in Assemblea legislativa per l’approvazione. “Tutto questo, però, non è mai avvenuto – spiega Andrea Defranceschi, capogruppo dei 5 Stelle in Regione – perché Marco Lombardi, che presiede la commissione Bilancio, non ha mai inserito nell’ordine del giorno del gruppo incaricato la discussione sulla proposta di legge”.

Così, scaduti i sei mesi previsti dallo Statuto regionale senza che vi fosse alcun pronunciamento, “il testo di legge per la modifica della norma regionale 42/1995 sul trattamento indennitario agli eletti alla carica di consigliere” è stato iscritto al primo punto dell’ordine del giorno dei lavori dell’Aula. Ma è stato subito rispedito al mittente. La proposta, infatti, è stata inviata nuovamente alla commissione Bilancio, e l’Assemblea ora ha 12 mesi di tempo per decidere nel merito. Solo che tra 12 mesi la campagna elettorale per designare il governo che dovrà succedere all’attuale formazione del parlamentino regionale, guidato da un Vasco Errani al terzo mandato, sarà iniziata, e se non dovesse arrivare il via libera del Consiglio prima del prossimo inverno, la legge salterà. “In altre parole – commenta Defranceschi – questa legge viene fatta morire perché non si vuole andare in tasca ai consiglieri regionali. Chi voleva, cioè 17 eletti su 50, ha già rinunciato al vitalizio volontariamente. Gli altri si tengono in tasca questa indegna pensione. A conti fatti, dunque, la casta si salva nelle pieghe del regolamento”.

L’emolumento, corrisposto a vita all’eletto in consiglio regionale non appena questi compie 60 anni, prevede il versamento di un contributo pari al 25% dell’indennità mensile lorda percepita dai consiglieri, e varia, quindi, in rapporto agli anni di mandato. Beneficiari dell’assegno, però, sono anche gli eredi del rappresentante istituzionale in questione, “tanto che – spiega Defranceschi – le trattenute non sono sufficienti a coprire totalmente il costo dei vitalizi pagati agli ex consiglieri, col risultato che il disavanzo, negli anni, non fa che aumentare. Il tutto a spese della Regione e quindi dei cittadini”. Il primo tentativo di abrogare l’assegno a vita, risalente al 2010, però, era si era tradotto solo in una mezza vittoria: la Regione aveva accettato di cancellare il vitalizio per i consiglieri regionali, però solo a partire dalla prossima legislatura.

Nel 2011, quindi, i 5 Stelle avevano provato a emendare la legge regionale che regola il trattamento indennitario dei consiglieri regionali, che all’epoca costava mensilmente alla Regione circa 400.000 euro, per una spesa complessiva di circa 5 milioni di euro all’anno. La risposta dei partiti eletti, però, era stata una barricata bipartisan: quasi tutti, dal Pd al Pdl, oggi Forza Italia, avevano bocciato i quattro emendamenti presentati rispettivamente per alzare l’età prevista per percepire l’assegno, da 60 a 67 anni, introdurre un “prelievo di solidarietà” pari al 25% sui vitalizi in favore delle persone con disabilità gravi, approvare il divieto a cumulare diversi assegni per chi, ad esempio, è stato anche parlamentare o europarlamentare, e tagliare l’emolumento a vita per chi ricopre anche altri incarichi pubblici. Uniche eccezioni a favore delle modifiche alla legge, oltre al Movimento, l’ex Idv Matteo Riva, l’Udc e alcuni leghisti, che si erano astenuti

Successivamente, nel 2012, la Regione aveva fatto un mezzo passo indietro: via libera alla cancellazione del vitalizio già a partire da gennaio 2013, ma solo su base volontaria. Alla proposta avevano aderito 17 consiglieri su 50: oltre a Defranceschi e all’ex grillino Giovanni Favia, l’ex presidente dell’Assemblea e attuale deputato renziano Matteo Richetti, la nuova presidente Palma Costi e i democratici Antonio Mumolo, Damiano Zoffoli, Giuseppe Paruolo, Anna Pariani, Thomas Casadei, Giuseppe Pagani, Rita Moriconi e Stefano Bonaccini. Rinunciatari dell’assegno a vita anche i leghisti Manes Bernardini, Stefano Cavalli, e Silvia Noè dell’Udc, mentre per il pidiellino Alberto Vecchi la disponibilità era stata limitata: non aveva rinunciato al vitalizio, ma aveva scelto di non incrementare l’assegno maturato fino a quel momento.

L’ultima possibilità, prima della fine della legislatura, per tagliare la voce di spesa della politica emiliano romagnola era quindi la proposta di legge popolare, che però è stata rispedita sul tavolo della commissione Bilancio. “Questa proposta di legge – spiega Defranceschi – doveva servire ad abrogare il vitalizio per tutti, anche per chi non aveva accettato di rinunciarvi spontaneamente, ma è stata boicottata. La casta con una mano si tiene i vitalizi e con l’altra da la mancia di 80 euro ai cittadini. Cos’è, un nuovo modello di amministrazione?”.

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