Il professor Michel Martone lo considererebbe uno “sfigato”. Paolo si è laureato a 29 anni, come i ragazzi stigmatizzati con supponenza dall’ex viceministro del Lavoro del governo Monti, ma farlo prima era impossibile. E ora che ha lasciato l’Italia “perché lì non avrei avuto alcuna possibilità”, lavora a Stoccolma per una società di marketing online leader di mercato in Svezia: “Sono web content manager e copywriter, gestisco cinque siti: di uno di questi possiedo il 10 per cento e sono il direttore delle vendite“. Nell’Europa che viaggia a due velocità, la differenza tra i paesi che guidano e quelli che arrancano passa per la capacità di lasciar fare i giovani e considerare come una risorsa, e non solo come un problema, chi viene da oltreconfine: “In ufficio siamo in 10, io a 35 anni sono il più vecchio: i miei due capi hanno 27 e 28 anni: uno è etiope, l’altro greco”.

Paolo Andrea Corna è abituato a correre. “Sono nato in provincia di Bergamo, sono figlio di operai – racconta – fin da ragazzino ho lavorato. Solo a 24 anni sono riuscito a iscrivermi all’università, a Scienze della Comunicazione. Il 1° ottobre 2003 mi sono trasferito a Parma. Mio padre non poteva pagarmi gli studi, così per mantenermi facevo il cameriere fino alle tre di notte, poi tre ore di sonno e alle sei attaccavo con una ditta che faceva i catering per i matrimoni. E’ durato fino al 2008, quando mi sono laureato”. Se la vicinanza di uno Stato ai suoi cittadini si potesse misurare su una retta, Svezia e Italia si troverebbero ai due capi opposti della linea: “Non sono mai riuscito ad avere una borsa di studio: secondo l’ufficio tasse di Parma guadagnavo troppo poco per non essere aiutato dai genitori. Inutile spiegargli che la metà della paga me la davano in nero”.

Emigrare, una necessità. A Stoccolma la prima tappa, offerta dall’università, è l’Istituto per il commercio estero: “Dopo il tirocinio mi hanno assunto a progetto, ma nel 2009 è scaduto il contratto”. Così Paolo ha investito su se stesso: “Ho fatto un corso di svedese per immigrati, facevo la guida turistica e lavoravo per una società inglese che vende conferenze all’estero”. Intanto partiva la girandola dei colloqui: “Nel 2012 ne ho fatti 11 in 11 mesi: con Apple sono arrivato in finale con altri 4 candidati, con Adobe con altri 3″. La svolta? Con una raccomandazione: “In Svezia è diverso: c’è qualcuno che garantisce con la propria credibilità del curriculum di un’altra persona. E la segnalazione funziona solo se l’azienda che la riceve ha davvero bisogno di quel profilo”. In Psd Media, società che possiede i siti di codici sconto più visitati in Svezia e Finlandia, Paolo scrive le pubblicità e gestisce il posizionamento: “Con l’Italia la distanza è abissale: nel 2012 il 71% degli svedesi ha fatto acquisti online; da voi il 30% delle persone non ha accesso al web”.

Sotto il cielo plumbeo dei lunghi inverni svedesi, la vita per un italiano non è facile (“d’inverno fa buio alle 2 e 30, ed è difficile avere contatti umani veri”), ma c’è una cosa che allevia la nostalgia: “Qui ho la sensazione di potercela fare: nei tanti colloqui che ho fatto parlando uno svedese non ancora buono nessuno mi ha mai detto: ‘Vai via, non parli nemmeno la lingua’. C’è una disponibilità ad ascoltare che in Italia non esiste. E so che qui potrei migliorare ancora la mia posizione”. Questione di atteggiamento e di ambiente: “In Svezia durante il colloquio di lavoro ti chiedono quanti soldi vuoi: se dici una cifra troppo bassa, non ti assumono perché dicono che non hai stima di te e di ciò che sai fare, quindi non servi. Io alla quarta intervista ho chiesto un contratto a tempo indeterminato. L’azienda mi ha detto di aspettare 6 mesi, ma ho insistito: ‘Ho 34 anni e ho bisogno di certezze’, ho risposto. E mi hanno dato l’indeterminato”.

Il futuro? Lontano da casa. “L’Italia mi manca da morire – racconta Paolo – mi sento come Diego Abatantuono che nel film Mediterraneo fa di tutto per tornare in Italia. Ma non ho il coraggio: qui ho delle sicurezze, in Italia no”. In Svezia, sul capo opposto della retta, lo Stato c’è: “Paghi il 46% di tasse, ma ti ritorna in servizi. Ad esempio l’uomo ha tre mesi di congedo di paternità: la legge lo obbliga a usarne uno e gli altri due può regalarli a sua moglie. O ancora, l’agenzia delle entrate ti manda a casa la dichiarazione dei redditi già fatta: se è giusta, per confermarla basta un sms. Lo Stato ti ridà anche il 30% degli interessi che paghi sul mutuo e il 30% dei soldi che spendi per fare dei lavori in casa“. Ma è anche questione di prospettiva: “So che se tornassi ora, con 5 anni di esperienza e dopo aver imparato 5 lingue, non troverei lavoro: al posto mio ci sarebbe sempre un manager di 50 anni che non sa di cosa parla e dà ordini a un 30enne qualificato che lavora per 800 euro al mese, se gli va bene”.

Articolo Precedente

“A Dubai ho un contratto di lavoro serio. In Italia ero troppo qualificato”

next
Articolo Successivo

Oceanografo alle Hawaii. “Qui la ricerca è un investimento sul futuro”

next