Nutro un dubbio che sempre di più va trasformandosi in certezza; specie ammirando le moschettiere guardiane di Berlusconi all’opera quali intemerate sciabolatrici nei talk show dietro il convento dei Carmelitani: Aramis Ravetto, Porthos Biancofiore, Athos Gelmini, D’Artagnan Santanchè e – quando si dà il caso – perfino la Mara Carfagna, rimpannucciata da Milady bon ton dopo le sue concessioni non propriamente eleganti alla visibilità per fare carriera.

Il dubbio/certezza di una loro standardizzazione comportamentale/comunicativa. In effetti si nota una sorta di imprinting ricorrente in queste gentildonne nel buttare la discussione in caciara. Come se tutte loro avessero frequentato l’identico corso di formazione alla tracotanza; lo stesso percorso formativo, che si intuisce nelle modalità stereotipate del disturbare e sommergere con rumori gutturali l’altrui argomentazione, riscontrabile pure in alcuni maschietti, altrettanto al servizio dell’ex Cavaliere (degradato dalla Cassazione a “evasore certificato”); tipo Cicchitto, Brunetta o Stracquadanio.

Visti gli eccellenti risultati, si potrebbe ipotizzare che docenti di siffatti corsi propedeutici alla piazzata siano insigni maestri della specialità, del calibro di un Vittorio Sgarbi o di un Giuliano Ferrara: rissa e canagliate. Con l’aggiunta di una materia complementare, particolarmente apprezzata e seguita dalla componente femminile d’aula (le tenere spadaccine…): uno stage sul teatro kabuki. Ossia quel genere di spettacolo nipponico che valorizza la mimica facciale. Infatti possiamo ammirare la Micaela Biancofiore quando inalbera l’espressione del disgusto cosmico se qualcuno avanza la sommessa ipotesi che Berlusconi forse non è il più grande statista della storia umana; si apprezza l’occhio sbarrato/stralunato della Carfagna che da solo vale la smentita a quanti pretenderebbero di contestare la tesi per cui condannare un palese evasore, non tenendo conto che ha manipolato mediaticamente milioni di voti, è un plateale attentato alla democrazia. Insomma, l’attuale tribalizzazione 2.0 della politica, ridotta a bande aggregate attorno al supremo capobranco dispensatore di vantaggi (materiali ma anche psicologici, prebende e/o certezze) trova l’elemento identificante e connotativo nelle modalità e nelle pratiche con cui ci si esprime. Nel linguaggio, sia verbale, sia corporale. Questo vale per i/le berluscones, ma non solo.

L’omologazione linguistica è – ad esempio – fenomeno che balza agli occhi pure nei pasdaran del M5S, che non sembrano in grado di argomentare senza fare ricorso al lessico portato al successo dal loro Guru. Nel qual caso – invece che agli ululati di scuola Sgarbi_Ferrara e alle smorfie orientaleggianti – si assiste all’apoteosi della scopiazzatura pappagallesca: Pd-più-o-meno-L, supercazzola, rosicare, ecc. Con un particolare apprezzamento dell’uso fascistoide di storpiare i nomi. Tutte pratiche che corrispondono a profonde quanto evidenti esigenze psicologiche di appartenenza. Molto spesso a forme di inconfessabile innamoramento, per cui la Biancofiore nel salotto di Luca Telese arrivava a dire che Berlusconi è perfino “elegante” (con il mariolo filo di Scozia sotto il doppiopetto dai revers ascellari “sogno da ragioniere”!); per cui i miei contestatori, quando dico che Grillo strepita in quanto è nel pallone, replicano alla lesa maestà con toni variamente stizziti e variando sul tema dell’eterna tiritera (tipica del vassallaggio psicologico) secondo cui “il capo ha sempre ragione”.

Infine va osservato come, a fianco delle tribù 2.0 chiassose, ci sia quella sussurrante; la quale traduce in mormorio il messaggio narcotizzante che promana dal Supremo Colle: stabilità, quieta non movere, non disturbare il manovratore… Insomma, la politica tribalizzata è il ritorno a comunità chiuse, in cui le parole ripetitive producono il confortante effetto del riconoscimento reciproco. Che questo favorisca il ritorno a un sano spirito critico è assolutamente da escludersi. Così come è da escludere che in queste giaculatorie ci possa essere la soluzione alla crisi di un paese in stato di avanzato e inarrestabile impoverimento. Nonostante che il ministro Saccomanni, fedele interprete della linea di normalizzazione tracciata da Giorgio Napolitano, ci racconti la favoletta consolatoria che il peggio è passato. Chissà poi come e perché.

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