Mukhtar Ablyazov poteva evitare la prigione, e non correre il rischio di essere estradato in Ucraina e poi in Kazakistan. Qualcuno, infatti, lo avrebbe potuto avvisare per tempo, in modo da sfuggire al blitz delle forze speciali francesi. Ma l’oligarca kazako dissidente non ha voluto ascoltare i consigli di Vitaly Arkhangelskij, un finanziere russo in esilio a Nizza che gli aveva offerto i suoi servigi pochi giorni fa, e soprattutto le sue ramificate conoscenze locali. Il finanziere, che è in lotta da anni con una potente holding di San Pietroburgo di cui era stato presidente e direttore generale, era stato arrestato in una situazione simile, perché lo volevano incarcerare in Russia: è riuscito a ottenere una sentenza della Corte d’appello (sempre ad Aix-en Provence, il 24 maggio del 2012) che respingeva la richiesta di estradizione russa nei suoi confronti. Di fatto, accogliendo la tesi difensiva e cioè che c’era un’ingiusta persecuzione, anzi, e che se fosse finito in Russia gli poteva succedere di tutto. D’altra parte, la torta in gioco era tale da non fare garantire i diritti fondamentali della difesa: un conflitto d’interessi colossali – attorno alla costruzione e alla gestione delle attività portuali di Vyborg. Arkhangelskij, per la cronaca, cerca di bloccare i beni della holding di San Pietroburgo all’estero, e la controversia ha ormai i contorni di una saga infinita. Un po’ come la vicenda di Ablyazov.

Fatto sta che l’istinto di sopravvivenza dell’oligarca kazako ha prevalso sulla fiducia nei confronti dell’uomo d’affari russo. Forse Ablyazov non si è fidato del tutto, forse non voleva che a ‘salvarlo’ fosse uno straniero, forse ha temuto un inganno, ha avuto paura di finire in trappola. Perché anche Mosca potrebbe reclamare Ablyazov, visto che in Russia è ricercato per frode su larga scala e riciclaggio per le attività della sua banca Bta tra il 2003 e il 2005. E in effetti sulle sue tracce c’è un’influente lobby russa che traffica con il Kazakistan e intrattiene buoni rapporti col presidente Nursultan Nazarbaiev. Non solo: quando i francesi hanno trovato parecchi documenti d’identità nella villa di Mouans-Sartoux, tra Grasse e Cannes, dove Ablyazov ha stabilito il suo quartier generale, è stato grazie all’inaspettata solerzia della sezione russa di Interpol se si è potuto stabilire con certezza il riconoscimento di Ablyazov.

Le autorità francesi che per 24 ore avevano spudoratamente negato l’arresto di Ablyazov, hanno confermato la “detenzione provvisoria del dissidente kazako, sulla base di una richiesta di arresto ed estradizione da parte del tribunale di Kiev (sempre sul “buco” di bilancio della banca Bta, 6 miliardi di dollari. L’accusa ucraina riguarda una serie di reati finanziari, tra le vittime anche l’Unicredit e il Monte dei Paschi di Siena). Ablyazov ha già fatto sapere, tramite uno dei suoi legali, l’avvocato Bruno Rebstock, che si opporrà naturalmente all’estradizione: “Le accuse che pesano su di lui sono motivate da ragioni politiche e il suo arresto è il prossimo passo verso la sua eliminazione in quanto forza politica di primo piano in Kazakistan”. Solange Legras, l’avvocato generale della Corte d’Appello di Aix-en-Provence (territorialmente competente), ha detto che l’arresto “è avvenuto senza violenza, anche se c’erano rischi in quanto era protetto da una specie di milizia privata” e ha rivelato che prima del blitz pomeridiano la residenza dell’oligarca era stata sorvolata da un aereo spia delle forze speciali.

Insomma, da un blitz all’altro si sta consumando il difficile esilio di Ablyazov. Con la differenza che quello italiano a Roma ha avuto per bersaglio moglie e figlia dell’oligarca, deportate illegalmente e consegnate alle autorità kazake la notte del 31 maggio scorso. Mentre l’operazione francese, avvenuta alle tre di un pomeriggio molto bollente in ogni senso, è stata spettacolare, forse anche troppo: “Un enorme dispendio di uomini, mezzi, e spese astronomiche” ha denunciato sul portale Respublika dell’opposizione kazaka (di cui è proprietario Ablyazov) la direttrice Irina Petrushev, secondo cui “ora Mukhar teme per la sua incolumità”. Come mai Parigi ha mobilitato tutte queste risorse operative?

“Una procedura giudiziaria è in corso, attendiamo i documenti del mandato internazionale”, ha diplomaticamente dichiarato Vincent Floreani, cauto portavoce del ministero degli Esteri francese, gli ucraini hanno quaranta giorni di tempo, questo prevede il codice francese. I legali di Ablyazov hanno fatto sapere ai giudici di essere disposti a pagare una consistente cauzione per la libertà provvisoria, ma la trattativa si è spenta subito: “Abbiamo ritenuto non vi fossero sufficienti garanzie perché potesse essere lasciato in libertà”.

Pugno duro, dunque, contro Ablyazov, il banchiere accusato d’aver sottratto sei miliardi di dollari (quattro dei quali sarebbero stati bloccati a Londra). Ma contro Ablyazov, l’oligarca dissidente, come si comporterà la Francia? Concederà l’asilo politico, come fecero gli inglesi nel 2011, salvo qualche mese dopo, nel febbraio del 2012, condannarlo a 22 mesi di reclusione per oltraggio alla Corte, poiché non aveva collaborato coi magistrati britannici che indagavano sulla bancarotta della Bta Bank? Allora, l’astuto Ablyazov aveva prevenuto la sentenza scappando in Francia. Oggi, la tolleranza di Parigi è apparentemente sospesa. Gli interessi energetici sono strategici e l’Europa dipende sempre più dal gas e dal petrolio di Russia e Kazakistan. Tuttavia, c’è chi vuole finalmente vederci chiaro sulla controversa figura di Ablyazov: coi soldi della Bta ha finanziato l’opposizione kazaka e per questo, così dicono famiglia, amici e oppositori, è stato oggetto d’attentati, lo hanno arrestato e torturato, ha rischiato la pelle, e continua a rischiarla. Però sei miliardi di dollari sono stati sottratti a creditori internazionali, e per costoro – banche italiane, americane, georgiane e russe – più che di politica si tratta di truffa.

L’intrigo è complesso: a cominciare dal “buco” della Bta. La Francia, si sa, protegge i dissidenti politici e quindi l’estradizione verso l’Ucraina non è poi così automatica come i familiari di Ablyazov temono (“Non datelo a Nazarbaiev!”, ha implorato la figlia Madina che vive in Svizzera). Inoltre, i Paesi dell’ex Unione Sovietica non è che diano garanzie per i diritti della difesa. In tutto questo scenario, colpisce la neutralità putiniana. Al Cremlino non conviene entrare in questo piccolo grande gioco. Sta alla finestra. Semmai, l’imbarazzo riguarda l’Occidente: in bilico tra la solidarietà per chi lotta contro i regimi autoritari e la prudenza, nel caso gli alfieri di questa battaglia abbiano imbrogliato le carte.

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