Stavolta non sanno davvero che pesci prendere. Perché il primo a non avere in tasca alcuna soluzione politica è proprio lui, Silvio Berlusconi. La sensazione, si sostiene a palazzo Grazioli, è che si stia per consumare la fine ingloriosa di un’epoca, “il tentativo di travisare la nostra storia – per dirla con Angelino Alfano – perché qui è in gioco anche la storia personale di ognuno di noi; una sentenza penale non è solo un atto giuridico”. Così, almeno, ieri sera, durante un lungo incontro accanto al Cavaliere, apparso anche ai suoi in evidente difficoltà.

La sensazione di impotenza, nel Pdl, ora è molto forte, unita alla paura che si sia davvero vicino ad un punto di non ritorno; la fiammata di ieri, che ha scosso il Parlamento con quella richiesta di fermare i lavori delle aule per protesta contro il partito dei giudici che vuole “giustiziare” il Cavaliere è stata, in realtà, più un diversivo che altro. Dietro l’alzata di toni non c’è alcuna strategia sulla lunga distanza. Anzi, dietro non c’è proprio nulla. E il partito va in pezzi, non più diviso solo tra falchi e colombe, ma sminuzzato anche in una copiosa componente di peones che ora temono lo showdown, pur non avendo alcuna intenzione di votare la sfiducia al governo. Troppo forte il rischio di tornare alle urne e perdere la poltrona. Senza Silvio, è il ragionamento, non si va da nessuna parte, ma anche con lui, visto l’andazzo, la remissione è certa. Una sensazione di blocco di cui si è fatta portavoce Beatrice Lorenzin. La ministra della Salute ha dato addosso a Daniela Santanchè (“Chi continua a soffiare sul fuoco dell’accanimento antiberlusconiano è contro la pacificazione”), ma anche lasciato aperta ogni possibilità sul futuro (“nell’emergenza possono succedere cose straordinarie”). Chissà quali. Di sicuro non quella di dimettersi in blocco in caso di condanna del Cavaliere, perché lì la spaccatura interna diventerebbe conclamata.

Si naviga a vista, dunque, nel Pdl. Come spesso è accaduto, anche ieri Berlusconi – che in serata ha visto anche i suoi avvocati – ha ‘mandato avanti’ i suoi falchi, lasciando che si sfogasse tutto il malumore e la rabbia del ventre molle del partito, dove di ora in ora cresce questo timore di ritrovarsi senza leader nel giro di una ventina di giorni. Anzi, viene spiegato, lo stesso Cavaliere, dopo la decisione della Cassazione, avrebbe esortato il partito ad alzare la voce, a mettere in atto una reazione forte. Dando così più ascolto ai ‘falchi’ che all’ala moderata del partito, che invitava invece l’ex premier alla cautela. Poi, dopo i contatti tra palazzo Grazioli e Palazzo Chigi, che si sarebbero poi allargati anche al Quirinale, la decisione di non far precipitare le cose. Del resto, viene riferito da più fonti pidielline, lo stesso gruppo alla Camera, il più compatto, era diviso sul da farsi. Ad alcune colombe, infatti, non sono piaciuti i toni ultimativi di Daniela Santanchè, che esplicitamente ha messo in dubbio la vita del governo, legandone le sorti alla sospensione dei lavori parlamentari. Ad altri, hanno invece dato fastidio le dichiarazioni di Renato Schifani, che ha parlato di “una strategia contro Berlusconi e anche contro il governo, un attacco articolato, basato su regolamenti interni, perché c’è qualcuno che lavora perché cada questo governo e non si consolidi la figura di Enrico Letta”, parole che hanno fatto pensare addirittura a una sorta di “golpe interno” contro il leader.

E la temperatura, se possibile, si è alzata ancora di più. Tanto che sono dovuti intervenire prima Cicchitto e poi Lupi a sedare gli animi e a spiegare che il governo non deve essere attaccato e che – parole dell’ex capogruppo – non bisogna cadere nelle provocazioni. Del resto, spiegano ancora le stesse fonti, già nella tarda serata di ieri, mentre i deputati erano riuniti alla Camera, il Cavaliere avrebbe frenato sulle diverse ipotesi di protesta di cui si stava discutendo: nessun Aventino, sarebbe stato l’input fatto pervenire da palazzo Grazioli, no dimissioni di massa, ma un momento di necessaria riflessione.

Insomma, non è questo il momento di tirare le somme e prendere in considerazione l’eventualità di una crisi di governo: il popolo pidiellino, ora di nuovo in crescita nei sondaggi, non capirebbe. E poi è considerato da non sottovalutare l’atteggiamento del Colle in caso di crisi e il timore che Pd e grillini assieme a Sel possano dar vita a maggioranze alternative. Lasciando con il cerino in mano l’intero partito, falchi, colombe e pure chi si sta già guardando intorno con interesse in cerca di una via di fuga senza perdere la poltrona.

Se si andasse ad un voto di fiducia a Letta, è questa la riflessione interna, ci sarebbe il rischio che un discreto numero di pidiellini possa votare, nel segreto dell’urna, a favore del governo. Polverizzando quel che resta del Pdl meglio di qualsiasi magistrato o sentenza penale. Non ultima, la questione processuale: non aiuterebbe l’esito dei procedimenti giudiziari a carico del Cavaliere, è la convinzione di molti in via dell’Umiltà e dello stesso Berlusconi, se il Pdl fosse l’artefice della caduta del governo. Ciò non vuol dire, viene sottolineato, che l’ex premier intenda ritirarsi a vita privata per attendere passivamente di essere condannato: “Non farò certo la fine di Craxi”, ha ripetuto ancora, ma c’è chi ormai, dentro il Pdl, lo guarda più come un peso che come un’opportunità per la sopravvivenza della poltrona per tutta la legislatura.

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